Lo Presti: Giordani e la difficile scelta della pace

Intervista al direttore del Centro internazionale Igino Giordani, Alberto Lo Presti, a partire dalla testimonianza di Igino Giordani (1894-1980), testimone dell’impegno per la pace in politica nelle contraddizioni e le speranze del secolo scorso
(AP Photo/Visar Kryeziu)

Igino Giordani (1894-1980), cofondatore del Movimento dei Focolari, ha vissuto intensamente il suo tempo non avendo timore di prendere posizione fino a pagarne le conseguenze. Non solo durante il regime ma anche nel dopoguerra quando andò al potere il suo partito, la Democrazia Cristiana.Intere generazioni di persone hanno maturato la loro scelta di impegno politico ispirandosi a colui che si definiva “deputato di pace” e si sono formati leggendo i suoi scritti e attingendo alla sua testimonianza.

Davanti allo scenario odierno di una guerra in corso nel cuore dell’Europa abbiamo intervistato Alberto Lo Presti, direttore del Centro Igino Giordani e del periodico Nuova Umanità nonché professore associato di Filosofia politica e Storia delle dottrine politiche presso l’università Lumsa di Roma. Lo Presti ha da poco pubblicato con l’editrice Città Nuova la biografia “Igino Giordani, un eroe disarmato. ”

Igino Giordani è considerato un alfiere della cultura della pace. In che modo ha vissuto la sua epoca, dilaniata dalle guerre mondiali e dalla guerra fredda?
Igino Giordani non fu solo un grande sostenitore della pace, ma un puntuale denigratore della guerra. “No alla guerra”: senza se e senza ma. Non era una questione negoziabile. Disse che chi ricorreva alla guerra per risolvere i problemi, era come colui che ghigliottinava le teste per guarire i mal di capo. La pace, dunque, è un valore assoluto. È ovvio che qui si apparecchia il problema di quale pace e di come stabilirla. Rimaniamo sulla testimonianza di Igino Giordani. Nel suo discorso sul Patto Atlantico (16 marzo 1949) sbaragliò sia le certezze di coloro che credevano nell’esito del duro e inevitabile scontro fra le grandi potenze, e per questo preferivano armarsi fino ai denti, sia le convinzioni di chi avrebbe preferito la neutralità dell’Italia rispetto al confronto fra le grandi potenze mondiali. La neutralità, disse nel 1949, non era possibile, per la semplice considerazione che non era stata rispettata e che, in alcuni casi storici (la seconda guerra mondiale) aveva favorito l’azione militare dell’aggressore. Nel suo discorso espresse la sua adesione al Patto atlantico, come un patto di difesa necessario nella circostanza dei patti militari antioccidentali dei paesi comunisti. Era il male minore, utile a raggiungere una soluzione di equilibrio minimo, che scongiurasse esiti peggiori del confronto politico, trasformandolo in confronto militare su vasta scala. Ma poi, osservò, non bisognava arrendersi all’inevitabilità della guerra e intraprendere tutte le iniziative possibili per costruire una pace vera, stabile e duratura.

In questa circostanza, Giordani profetizzò l’unità dell’Europa, dagli Urali al Portogallo. Un’ipotesi che sembra allontanarsi, con i conflitti in corso nel cuore del Vecchio Continente?
Dal 1949 a oggi l’Europa ha fatto notevoli e rapidi passi avanti nella sua unificazione politica ed economica. Basti pensare che la seconda guerra mondiale fu il teatro dell’ultimo grande scontro fra le grandi potenze centrali, soprattutto fra la Francia, la Germania, Il Regno Unito, spesso in guerra fra di loro nei secoli precedenti. E mi sembra che anche la crisi militare in corso possa aprire, nell’immediato futuro, nuovi scenari di coordinazione europea finalizzati a un ruolo internazionale unitario, con strumenti democratici di organizzazione civile. Mi sembra che la profezia di Giordani sia attiva più che mai. Preferisco pensare che l’inutilità e l’insensatezza della guerra attuale fra Russia e Ucraina darà avvio a processi che termineranno con una configurazione dell’Europa dagli Urali al Portogallo.

Come valutare, dunque, la scelta del parlamento italiano di inviare armi in Ucraina?
Si tratta di una questione delicata. Mentre noi discettiamo su ciò che è giusto e ingiusto, c’è una popolazione sotto le macerie e continuamente sotto il tiro delle armi di fuoco. Le guerre sono tutte una follia, ma non sono tutte uguali. Esistono guerre di aggressione e guerre di difesa. In tutto ciò, la condizione più terribile è proprio quella che si sta verificando in Ucraina, dove i civili sono il bersaglio dei proiettili. Non c’è dubbio che il popolo ucraino ha diritto a difendersi. L’uso delle armi, tuttavia, è soggetto a limiti etici: il danno dell’aggressore deve essere grave e durevole, la diplomazia deve aver fatto di tutto per scongiurare la guerra, l’uso delle armi non deve provocare danni maggiori a ciò che si cerca di raggiungere, cioè la pace. In altre parole, nessuno vorrebbe distribuire armi in giro per il mondo, eppure esistono condizioni in cui ciò è necessario. Basti ricordare che San Giovanni Paolo II parlò del “dovere” all’ingerenza umanitaria, della comunità internazionale, per fermare il genocidio nel Ruanda degli anni Novanta. La comunità internazionale ha oggi deciso di fornire agli ucraini materiale bellico e derrate alimentari, nella speranza che la guerra cessi al più presto, e che la pace non sia barattata con la libertà e l’autodeterminazione dei popoli.

Per integrare leggi anche Ucraina, le associazioni lapiriane contro l’invio di armi

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