Lo confessò in mezzo al letame
Un libro pieno di avventure, di paesaggi tropicali e di scene da film. Un libro che si legge d’un fiato, per i brevi capitoletti che obbligano ad asciugarsi le lacrime e ad iniziare in fretta un nuovo episodio, per vedere come va a finire la storia non ancora conclusa: una vicenda avvincente ma soprattutto vera e con un lieto fine.
Alcuni degli episodi di questo libro li avevo ascoltati direttamente dalla bocca dell’autore e mi avevano impressionato non poco: rileggendoli oggi, ho sentito di nuovo quella voce calda, paterna, soprattutto piena d’amore che ricordava il Cielo. Questo era Nguyen Van Thuan, e lo è ancora oggi: un padre, un amico, un fratello, un uomo che ha operato una vera rivoluzione nel mondo e lo ha sostanzialmente cambiato. A lui piaceva solo un titolo, quello di un sacerdote. Era una persona che ti chiamava durante la notte e ti chiedeva scusa per non aver risposto a una tua lettera e t’invitava nel suo “appartamento” a Trastevere. Mi rivelò un giorno che quello, in realtà non era un appartamento da cardinale, perché disposto su vari livelli: nessuno voleva in effetti abitarci. I tre differenti vani che componevano l’attico, erano stati rifiutati da altri personaggi in Vaticano, perché ritenuti non adatti e non decorosi per le cariche che alcuni monsignori ricoprivano.
Si entrava in quelle stanze dell’allora presidente del Consiglio di giustizia e pace e ci si accorgeva che era davvero particolare: c’erano oggetti della Corea e di altri Paesi, un busto raffigurante Giovanni Paolo II e poi un su e giù di 3 o 4 scalini, che ti portavano ad un’ampia sala di lettura con annesso ufficio, e poi ancora ad un corridoio con una cappella semplice, in stile vietnamita. Quindi le camere da letto e la cucina. Insomma, una configurazione inusuale per l’alloggio di un alto prelato. «Per noi vietnamiti va benissimo, abituati come siamo ad altri tipi di stanze». Già, “altre stanze”. Per Van Thuan erano state un buco nella terra con una sola uscita per aria, acqua, topi e scarafaggi; oppure la stiva di una nave da trasporto per il carbone, dove aveva iniziato il suo viaggio verso il Nord del Vietnam; o ancora un bugigattolo in un campo di concentramento dove puliva i gabinetti; o la cella d’isolamento alla sede del ministero dell’Interno ad Hanoi.
Neppure lì erano riusciti a zittire un uomo che aveva “conquistato” tutti: guardie, ufficiali, spie e contro-spie. Li aveva “sciolti” con le sue parole disarmanti e il suo modo di fare ricco di relazionalità e sincerità.
Ad un certo momento, avevano deciso di non ruotare più ogni 3 settimane le guardie assegnate al suo controllo, altrimenti avrebbe “contaminato” con le sue idee tutto il ministero: coloro che lo dovevano controllare diventavano in effetti suoi fedeli e sinceri amici. Quest’uomo, che alle tre di ogni pomeriggio prendeva la sua “medicina” per il mal di stomaco, cioè vino e pane, e poi «cantava in una lingua incomprensibile», il latino, come affermavano le guardie, ha saputo non solo sopravvivere a tutto questo (e ben altro) ma ribaltare il suo destino, non scendendo a compromessi con chi voleva fargli confessare e firmare una confessione per i «delitti contro la patria» che lui non aveva mai commesso.
Van Thuan ha saputo amare con cuore sincero i suoi compagni di sventura così come i suoi aguzzini, con lo stesso cuore e lo stesso calore che aveva sua madre: «Amare tutti, perché in tutti c’è Dio», amava ripetere. Ed è proprio questo il messaggio profondo che suo figlio ci lascia in eredità: un amore eroico a imitazione di quello di Cristo.
Si racconta che un giorno, mentre spargevano letame nel campo vicino alla prigione, nel Nord del Vietnam, persino le guardie si erano allontanate da quell’odore nauseante: rimasti da soli, il suo compagno, inginocchiato, ha chiesto la confessione in mezzo al letame. E don Nguyen, naturalmente, felice di esercitare la sua funzione di “prete di campagna”, come lui stesso si definiva, amministrò il sacramento. In mezzo allo sterco di mucca. In tempi come questi, dove le notizie di intrighi, divisioni e scandali abbandonano nella Chiesa, fa bene pensare che un cardinale si sia formato in questo modo, ed abbia saputo portare speranza, gioia, amore e perdono anche in mezzo allo sterco.
Nella pagine del libro che esce ora per i tipi di Città Nuova si scopre la speranza di cui tutti noi abbiamo bisogno: quella di una Chiesa formata da uomini che sanno soffrire con chi soffre, dare luce a chi ha perso la speranza e parlare di Cielo e non di denaro. C’è bisogno di nuova fiducia nella Chiesa. Van Thuan ce lo ha insegnato con la stima che ha saputo far nascere nel cuore dei soldati che lo hanno custodito, poi amato e aiutato: «Questa è la Chiesa viva», vien da dire. Non parole inutili, programmi pastorali incomprensibili o frutto di menti in cerca di privilegi: la Chiesa è una madre che dà la vita.
Van Thuan ha evangelizzato “per attrazione” e non con discorsi teologici incomprensibili o con l’odio e il risentimento per i carcerieri che gli avevano rubato 13 anni di vita. Le spie convertite a Dio, durante la prigionia, ne sono una testimonianza viva e vera. I suoi testi, scritti su fogli di giornale, sono documenti d’amore, intelligenza, tenacia e luce. Per chi vuole capire cosa sia il Vietnam oggi, questo libro mi sembra più che adatto. E per la Chiesa in Vietnam direi che queste pagine rappresentano un monito attuale, un esempio ed un avvertimento: l’esempio di Van Thuan testimonia che la via dei seguaci di Cristo deve essere sempre quella dell’amore, della testimonianza autentica del Vangelo, non del potere: non vale l’arroganza della forza nel cercare di schiacciare l’avversario, o presunto tale, con la potenza del denaro o la grandezza della costruzioni di cemento. La Chiesa in Vietnam progredirà non per le argomentazioni teologiche, o per i maestosi santuari, per le chiese sempre più tecnologizzate.
«La Chiesa progredisce per attrazione», come ha ben detto Benedetto XVI. E di attrazione il card. Van Thuan ne ha effusa tanta, soprattutto tra i suoi “nemici” amati con cuore sincero. La crisi sta bussando anche alla porte delle chiese del Vietnam e si chiama mancanza di dialogo e tenerezza, clericalismo radicato, consumismo, mentalità mondana e voglia di apparire. Van Thuan ricorda invece la “vera” Chiesa, quella di servizio, umiltà, attrazione.