Lo Chopin di Ivo Pogorelich

Il pianista di Belgrado torna all'Accademia di Santa Cecilia a Roma dopo sei anni di assenza. Cambiato nel fisico, ma non nel tocco
pogorelich

Ex fanciullo prodigio, il pianista di Belgrado, oggi cinquantenne, è cambiato nel fisico: capelli rasati, irrobustito. Ma non nel tocco, forte, e nella precisione, voluta fortemente suonando con lo spartito, a differenza di molti colleghi. Segnato anche dalla vita, con la perdita della moglie, Ivo sa dare un’impronta personale ad ogni interpretazione. Questa volta, tornato dopo sei anni di assenza all’Accademia nazionale di santa Cecilia a Roma, ha suonato solo Chopin, il prediletto. Due Notturni (il n. 2 op. 55 e il n2 op. 62) e due Sonate (la n. 2 op. 35 e la n. 3 op. 58), lavori dalla giovinezza alla estrema maturità.

 

È un Frideryk introverso, cantabile anche, ma drammatico nelle Marce funebri che poi però si alzano ad una liricità che fa sognare. Fa comprendere come Chopin avesse un istintivo, liberante anelito alla trascendenza. Pogorelich ama inspessire il suono, premere con forza sulla tastiera, esprimere le tinte cupe, gli accordi stringenti, dare alla musica chopiniana un’impronta a tratti lisztiana, altre volte far udire il melodiare operistico che lo accomunava al sentimento di un Bellini.

Chopin infatti non solo un poeta lirico, è potente, quando vuole, drammaticamente incisivo.

Questa pare essere la cifra interpretativa di Ivo, presentata ad un pubblico foltissimo e plaudente. Anche se un maggior “abbandono” avrebbe forse comunicato una gioia più grande.

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