ll paradigma dell’unità, una neo rivoluzione copernicana

Occorre educarsi a un dialogo a tutto tondo e costruire sinergie tra il mondo accademico e quello applicativo. È questo il messaggio di una novantina di studiosi di svariate discipline, provenienti da vari Paesi, riuniti all’Università Cattolica di Lublino il 3-4 giugno scorsi in occasione dei 20 anni dal primo dottorato h.c. in Scienze Sociali a Chiara Lubich
Università cattolica di Lublino

Mettete un economista, un chimico, un fisiatra e un filosofo in un team di ricerca scientifica, assieme a biologi molecolari, psicologi e neuropsichiatri. Ciascuno è portatore delle proprie conoscenze e competenze per la messa a punto di farmaci di nuova generazione per la cura della depressione. Malattia onerosa, quest’ultima, se si considera che ai soli pazienti del vecchio continente costa circa 800 milioni di euro l’anno.

 

«Il nostro è un team interdisciplinare e transnazionale», ha spiegato Catherine Belzung, neuroscienziata e biologa, docente presso l’Università di Tours (Francia), il 3-4 giugno scorso nell’ambito del convegno “Conflitto, dialogo e cultura dell’unità” svoltosi all’Università Cattolica Giovanni Paolo II di Lublino (Polonia) in occasione dei 20 anni dal conferimento del primo dottorato  h.c. in Scienze Sociali  a Chiara Lubich. «Abbiamo sviluppato strategie collaborative – ha continuato la Belzung – che ci hanno “educato” a costruire relazioni fondate sul rispetto delle nostre specifiche discipline, alimentando al contempo un’azione sinergica che ha  portato a nuove scoperte che si sono tradotte in benefici concreti per pazienti che soffrono di malattie mentali di varia tipologia».

 

Il dialogo dunque, centro e motore di sviluppo scientifico, ma anche di strategie di inclusione sociale, di partecipazione politica, di un’economia etica al servizio della persona, di metodi pedagogici fondati sulla relazione, di un giornalismo che si fa “mediatore” di unità sociale, e molto di più.

 

Frutto di una collaborazione accademica tra l’ateneo lublinese, l’Istituto Universitario Sophia e il Centro per il Dialogo con la Cultura dei Focolari, il convegno ha fatto il punto sull’incidenza della cultura dell’unità in numerose discipline e ambiti applicativi. E bisogna ammettere che non poteva trovare location migliore se consideriamo che lì Karol Wojtyła ha insegnato Filosofia per oltre 20 anni e poi, diventato papa, si è fatto pellegrino del mondo per incontrare popoli e tradizioni nel segno di un Vangelo sempre più inculturato.

 

All’apertura dei lavori, Adam Biela, docente di Metodologia della Psicologia e promotore per eccellenza del congresso, ha parlato di “rivoluzione copernicana”, riferendosi alle scienze sociali, laddove il paradigma dell’unità ne ha ispirato percorsi teorici e applicativi. È stato lui, nel 1996, ad assegnare l’onorificenza alla Lubich, indicando nella motivazione che il carisma dell’unità aveva creato «un nuovo fenomeno di integrazione sociale che mostra nuove dimensioni psicologiche, sociali, economiche e religioso-spirituali». «Oggi vogliamo analizzare quanto la ricerca e la pratica ispirate a questo paradigma dell’unità hanno offerto e sono in grado di offrire ancora alle questioni concettuali e applicate riguardanti la costruzione dell’integrazione sociale, economica e politica nell’Europa contemporanea e nel mondo».

 

Circa 90 tra ricercatori e studiosi di molte parti del mondo hanno risposto al call for papers e presentato lavori di ricerca nelle 5 sessioni tematiche su: dialogo nelle comunità tra carisma e istituzione; risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo; attori del cambiamento politico e processi di partecipazione; processi individuali, interpersonali e intergruppo nella gestione e nella prevenzione dei conflitti; dialogo tra le discipline e transdisciplinarietà.

 

«Oggi il conflitto si presenta con cause e sotto forme molteplici e globalizzate: flussi migratori, protezionismo nazionale, guerre locali e regionali – ha commentato la dott.ssa Urszula Piotrowska, vice rettore dell’ateneo lublinese, incaricata per la cooperazione internazionale –. Questo convegno mette in luce un bisogno urgente del nostro tempo. Il mondo ha bisogno di una cultura che metta al centro l’unità ». Jésus Morán, filosofo, copresidente dei Focolari, prosegue la riflessione evidenziando che «in questo mondo globale cambia il tradizionale paradigma della relazione e quindi dei rapporti internazionali: l’economia precede la visione etica, i valori, la politica, le regole, le istituzioni». Dunque «non ci è più permesso non solo di essere disuniti ma nemmeno di annunciare il messaggio di Cristo come lo abbiamo fatto finora. Occorre amarsi a vicenda per meritarsi l’unità, e questo significa che il centro della mia esistenza lo cerco nel fratello. Ed è un centro mobile, anzi mobilissimo: più il fratello è distante da me, più ho bisogno di lui per costruire l’unità».   

 

E il sociologo Magatti incalza: «Bisogna ripensare l’universalità, passare dal logos al dia-logos. Il “dialogo dialogico” ha il coraggio di interrompere la linea individuale del sé per iniziare un dialogo con il diverso da sé, perché dialogare significa accettare una strada che ci cambia. La globalizzazione ci sollecita a rivedere anche il concetto di evangelizzazione e a ricapire qual è l'universale che come cristiani siamo chiamati a costruire».

 

Tra i fenomeni globalizzati attuali c’è quello delle migrazioni, parte dello studio di Ana Cristina Montoya, colombiana, dottoranda in comunicazione politica all’Istituto Universitario Sophia (Loppiano – FI) che ha presentato la comunicazione come terreno comune per il potenziamento di relazioni d’inclusione. La costruzione di scenari inclusivi, consentirà di trasformare i conflitti in opportunità di crescita e arricchimento per il tessuto sociale, capaci persino di liberare interi territori da guerre e chiusure mentali. Per Chiara Galbersanini, dottore di ricerca in diritto costituzionale, il dialogo interculturale è, contrariamente a quanto affermano le spinte separatiste in voga, materia prima per la costruzione di una “nazione dialogica”, capace di sviluppare un senso di comune appartenenza e rafforzare il tessuto sociale di un Paese caratterizzato da una spiccata diversità culturale.

 

E prefigurando un paradigma organizzativo che metta al centro della vita aziendale le persone e uno stile collaborativo e dialogante, l’economista Bruni (Lumsa) prende a riferimento il mondo vegetale: «Oggi le organizzazioni devono imparare a respirare, ascoltare, ricordare, parlare con tutto il corpo: come le piante. Occorre ripensare e stravolgere la rigida struttura gerarchica. Chi vuol sopravvivere e crescere nella nuova economia è sempre più chiamato ad evolvere, decentrando e spalmando tutte le funzioni (compresa quella imprenditoriale), rinunciando a un controllo gerarchico di tutti i processi e decisioni, attivando e responsabilizzando tutte le cellule del corpo».

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