Lizzano e le bonifica che non parte
Paesaggio campestre e mare. Una storia millenaria. Nei paesi del nostro Sud straripa una bellezza nascosta. Come a Lizzano, 10 mila abitanti a 25 chilometri da Taranto, la città emblema dell’industrializzazione forzata. È questa che attira drammaticamente tutta l’attenzione, con i suoi dilemmi irrisolti e le polemiche senza fine sulle patologie diffuse che incutono timore. Siamo così portati a trascurare un esemplare percorso di cittadinanza attiva che da Lizzano permette di comprendere molto del nostro Paese.
Nel 2010 prende forma stabile un movimento già vivo formato da residenti che non possono accettare l’odore nauseabondo di una discarica collocata in quel sito ricco di uliveti e vigneti. Ma non è facile esporsi quando gli interessi in gioco sono tanti. Si muovono, così, per primi quatto ragazzi, ben presto protetti e mai lasciati soli da una rete cittadina che coinvolge professionalità e competenze elevate. Arrivano consulenze di istituti di ricerca molto noti a livello nazionale. Partono, perciò, gli esposti alla magistratura, superando intimidazioni e ragionevoli paure. La mobilitazione cresce con manifestazioni da migliaia di persone e il processo in corso per «gestione abusiva di rifiuti speciali non pericolosi».
Notizie purtroppo ordinarie, che non passano sui grandi media perché considerate “locali”. Di tali vertenze è piena l’Italia. Così come è diffuso l’andazzo che vede, finalmente, il sequestro dei siti contaminati che restano, tuttavia, da bonificare. Non bastano i soldi pubblici e gli inquinatori riescono a farla franca con il dedalo di responsabilità disseminate tra società che aprono, chiudono o falliscono. È il focus dell’inchiesta di giugno della rivista Città Nuova, “un Paese da bonificare” per offrire uno sguardo d’assieme su ciò che avviene in Italia e sollecitare possibili soluzioni.
Perché , come avviene nella località pugliese, dopo essere riusciti, con grande impegno, a fermare l’uso dissennato del territorio, l’associazione Attiva Lizzano è costretta a pubblicare, in questi giorni, un manifesto intitolato “Dove è finito lo Stato?” per denunciare che «l’inquinamento persiste», perché «a tutt’oggi nessuna istituzione ha mosso un dito affinché venisse messa in sicurezza e bonificata, contrariamente a quanto sancito sui tanti verbali di riunioni avvenuti presso la Regione Puglia». Abbiamo, perciò, sentito Angelo Del Vecchio, portavoce dell’associazione Attiva Lizzano, espressione di una rete sociale che resiste nonostante le tante avversità.
Vi siete attivati, come rete cittadina, nel 2010 davanti all’emergenza di una discarica non gestita correttamente. Ora, dopo la vostra denuncia, la discarica è stata chiusa e la proprietà è sotto processo. A che punto stiamo con la bonifica?
A seguito della nostra prima denuncia, è partito un primo processo che ha portato alla condanna dei gestori. Purtroppo la struttura è in totale stato di abbandono, nonostante le istituzioni regionali, d’intesa con il Comune di Taranto, in più occasioni abbiano ribadito la necessità e l’urgenza di intervenire a mettere in sicurezza la discarica. Le vasche dell’impianto sono completamente scoperte. Durante le piogge si riempiono a tal punto da far aumentare il volume del percolato, che tracima dagli argini. Nelle falde acquifere interne alla discarica sono stati, così, individuati inquinanti quali Pcb, boro e diossine.
Quali reti nazionali hanno sostenuto la vostra iniziativa?
A livello nazionale il nostro problema non ha riscosso molto clamore. Le uniche fonti che ne hanno parlato sono state il settimanale Oggi, il quotidiano La Repubblica e Radio radicale, oltre alle TV e i quotidiani locali. Purtroppo Taranto resta una delle province più martoriate d’Italia a livello ambientale, a seguito della presenza dell’ex Ilva, ora Arcelor Mittal, delle numerose discariche per rifiuti speciali nel raggio di pochi km e dei diversi inceneritori.
Cosa vi preoccupa in questa fase di attesa dei risultati dei processi penali e delle bonifiche?
Per quanto riguarda i processi, ricordo che uno è appena terminato con la condanna in primo grado dei responsabili ed è in corso un secondo procedimento giudiziario, a carico dei medesimi soggetti, per disastro ambientale a seguito di un ulteriore nostro esposto. Ma non ci aspettiamo chissà cosa dai processi in corso. La condanna non sana il disastro ambientale. Difatti, pur essendo stati condannati anche alla bonifica dei luoghi, gli ex gestori, ormai in stato di liquidazione, non osserveranno alcuna prescrizione.
Da quali punti di forza può ripartire anche economicamente il vostro paese?
Il futuro del nostro territorio resta ancorato alla vocazione di una sana agricoltura biologica e all’accoglienza, con un turismo responsabile. Ma tutto ciò resta una chimera senza un serio risanamento ambientale.