Livatino, a 31 anni dalla sua morte
Aveva solo 37 anni. Non aveva scorta e viaggiava da solo sulla sua auto. Una Ford Fiesta rossa, le cui immagini ritornano prepotentemente in primo piano quando si rievoca l’uccisione del giovane magistrato ucciso dalla mafia 31 anni fa.
Nel 31° anniversario della morte quell’auto, lasciata in eredità dal padre ad un amico di famiglia, che l’ha conservata e restaurata, è stata esposta a Canicattì, suo paese natale, nel complesso San Domenico. L’auto, è stata scortata dalle gazzelle dei carabinieri del Nucleo Radiomobile.
Un segno, uno dei tanti, pensati in questi giorni, nell’anniversario dell’omicidio di Livatino, che lo scorso 9 maggio è stato proclamato “Beato”.
Numerose le iniziative in programma che hanno scandito questi giorni, con la Settimana della Legalità “Giudici Saetta – Livatino”, con numerose manifestazioni che si svolgono dal 13 settembre fino al 2 ottobre, rassegna culturale dedicata all’eredità civile, morale e spirituale di Livatino e del giudice Antonino Saetta, anch’egli ucciso dalla mafia insieme al figlio Stefano. Alcune celebrazioni, una veglia di preghiera, un ritrovo davanti alla casa del magistrato ucciso e poi in contrada Gasena, luogo dell’omicidio, dove si trova anche la stele commemorativa fatta erigere dai genitori.
Altra iniziativa, la presentazione del libro “Rosario Livatino, la lezione del giudice ragazzino”, scritto dalla giornalista Lilli Genco e dall’arcivescovo di Agrigento, Alessandro Damiano.
«Dinanzi all’Eterno non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili», questa una delle frasi pronunciate dal giovane magistrato che fu sostituto procuratore e poi giudice nel tribunale di Agrigento, proprio negli anni in cui la guerra di mafia funestava quel territorio: quasi 400 morti, dal 1989 al 1992 in quel lembo estremo della Sicilia. Una frase che dice la fede forte ed incrollabile, una fede che impregnava fortemente le sue azioni ed il suo operato, che Livatino aveva messo “Sub Tutela Dei”, apponendo una semplice sigla “S.T.D.” in parecchie pagine del suo diario, o in alcuni testi che preparava e che sono stati ritrovati, sia nella sua stanza, nella casa di Canicattì, dove viveva con gli anziani genitori, sia sulla sua scrivania, nel palazzo di giustizia di Agrigento.
La cronaca ci ricorda che Rosario Livatino venne ucciso la mattina del 21 settembre 1990, mentre percorreva, senza scorta, la strada statale 640 che da Canicattì porta ad Agrigento. È la stessa strada dove, due anni prima, era stato ucciso anche il giudice Saetta. In contrada Gasena, l’auto venne speronata da una Fiat Uno ed una moto enduro si affianca alla vettura: i killer scendono, Livatino tenta un’improbabile fuga nei campi ma viene raggiunto e freddato.
Papa Francesco definì Livatino testimone «esemplare dello stile proprio del fedele laico cristiano: leale alle istituzioni, aperto al dialogo, fermo e coraggioso nel difendere la giustizia e la dignità della persona umana» e ne ricordò la figura, insieme a quella di Vittorio Bachelet. La frase venne pronunciata nel giugno 2014, nell’udienza al Superiore della Magistratura.
Oggi le celebrazioni che si svolgono ad Agrigento e Canicattì ed in varie città siciliane hanno un sapore diverso: Livatino è stato proclamato beato e, insieme a don Pino Puglisi, altro testimone-martire della chiesa siciliana, indica un percorso tracciato: un orizzonte culturale e sociale che oggi diventa esempio e testimonianza. Per tutti. La chiesa siciliana cammina su questa strada.