L’Italicum al vaglio del Parlamento

Approvata dalla direzione Pd, con code polemiche, la proposta di legge elettorale emersa dall’incontro Renzi-Berlusconi. Valutazioni discordi da parte degli altri partiti e di alcuni costituzionalisti. Una petizione della società civile sul tema delle preferenze. Adesso il confronto si trasferisce alle Camere
Conferenza stampa di Matteo Renzi

La proposta. Ha una natura "ibrida", perché mette insieme elementi di vari sistemi elettorali (spagnolo, tedesco, francese): da qui il nome Italicum.

120 collegi di piccole dimensioni, liste bloccate corte (4-5 candidati), niente preferenze. Sbarramento variabile: 5 per cento per le liste apparentate in una coalizione, 8 per cento per quelle che corrono da sole. Per utilizzare la soglia del 5 per cento da parte delle liste che stanno in una coalizione, occorre che quest’ultima ottenga almeno il 12 per cento: diversamente è come se la coalizione non avesse partecipato alla competizione elettorale.

Previsto il raggiungimento di una soglia minima del 35 per cento per ottenere un premio di maggioranza (variabile da 18 a 20 punti percentuali), da attribuire alla formazione o alla coalizione prima classificata, in modo da farle ottenere il 53-55 per cento.

Se nessuna di esse raggiunge la soglia minima si disputa un secondo turno, con un ballottaggio fra le prime due classificate: chi vince ottiene un premio di maggioranza che gli fa conquistare il 53-55 per cento.

Per esemplificare: sui 617 seggi da attribuire alla Camera il vincitore ne otterrà fra 327 (il 53 per cento) e 340 (il 55 per cento). Gli altri seggi verranno assegnati, con il sistema proporzionale a livello nazionale, alle liste che al primo turno avranno superato gli sbarramenti previsti.

La direzione Pd. Con 111 voti favorevoli e 34 astenuti (la minoranza di sinistra, contraria alle liste bloccate), il segretario ottiene il lasciapassare della direzione del suo partito sulla sua proposta blindata "prendere o lasciare".  Rovente scambio di battute fra Renzi e Cuperlo, che abbandona la seduta e l’indomani rassegna le dimissioni dalla presidenza del partito.

Le valutazioni degli altri partiti. Grillo boccia senza appello la proposta – che ritiene «coreana» –  ribattezzandola “Pregiudicatellum”, anche se nel Movimento c’è chi critica la politica dell’auto-esclusione. Alfano (Ncd) condivide la proposta, ma chiede con forza che venga modificata con la previsione delle preferenze. Con distinguo di varia natura sulla proposta complessiva, anche Casini (Udc),  Salvini (Lega) e Vendola (Sel) bocciano le liste bloccate (ancorché ridotte).

I giudizi della stampa. Il politologo Roberto D'Alimonte, su Il Sole 24 Ore, rileva che «premio di maggioranza e doppio turno sono gli elementi centrali del nuovo sistema. La loro combinazione rende il sistema majority assuring, cioè garantisce che le elezioni diano al vincitore – partito singolo o coalizione – la maggioranza assoluta dei seggi». E profetizza: «La riforma elettorale non c'è ancora, ma ha buone chance di arrivare a una svolta positiva nel suo percorso parlamentare».

Il presidente emerito della Corte costituzionale, Enzo Cheli, su L’Unità definisce «abile» la proposta di Renzi, «perché rispetta in termini adeguati i princìpi che ha stabilito la Corte costituzionale nella sua recente sentenza sul Porcellum, introducendo una soglia di ingresso per avere il premio di maggioranza», e prevedendo, sì, liste bloccate, «ma circoscritte, così come chiedeva la Consulta».

Di diverso avviso il costituzionalista Michele Ainis, che ne scrive su Il Corriere, secondo il quale la proposta non rispetta le obiezioni della Corte costituzionale laddove venivano censurati gli effetti «troppo distorsivi» del premio di maggioranza (ritenendo ancora troppo alto quello della proposta Renzi del 18-20 per cento). E quanto alle liste bloccate – rileva Ainis – la Consulta aveva acceso un semaforo verde quando i «bloccati siano pochi, rendendosi così riconoscibili davanti agli elettori». Il fatto è che con la proposta-Renzi si avrà ancora un Parlamento di tutti-nominati.

Un editoriale de La Repubblica sottolinea come il pacchetto di riforme "chiavi in mano", negoziato con Berlusconi, che Renzi ha illustrato alla direzione Pd, possa «rappresentare oggettivamente una "svolta di sistema"».

E il quirinalista Marzio Breda su il Corriere riporta il punto di vista del presidente Napolitano. Giusto allargare il dialogo sulle riforme "fuori dalla maggioranza", "ma non contro la maggioranza":  serve estendere l’accordo a tutti gli attori della maggioranza.

Voci dalla società civile. È stata lanciata una petizione su change.org : «#preferiscolepreferenze: restituiamo ai cittadini la possibilità e il diritto di scegliere», che ha ben presto raccolto migliaia di adesioni. Si legge nell’appello: «È proprio sullo strumento delle preferenze, che vogliamo ricostruire quel rapporto di fiducia tra elettori ed eletti che negli ultimi anni si è fortemente logorato. Sappiamo bene quali siano gli effetti di una legge elettorale che attraverso le liste bloccate, per dirla con le parole della Consulta, "ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione". Siamo convinti che l'unico modo di rimarginare le ferite della nostra democrazia  sia proprio quello di ridare centralità agli elettori attraverso la libera e diretta scelta dei propri rappresentanti».

A riprendere questo tema è Aldo Cazzullo, in prima su Il Corriere dell’altro ieri: «Quel che gli elettori rischiano di non poter decidere neppure stavolta è il nome degli eletti. Il modello Renzi-Berlusconi evita solo formalmente il vizio del Porcellum dichiarato incostituzionale dalla Consulta: l'impossibilità di individuare i candidati. Le liste più brevi renderanno se non altro i deputati riconoscibili. Ma essi non dovranno il loro mandato a una scelta popolare; saranno comunque e sempre legati al capo partito».

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