L’Italia una, del Nord e del Sud: il rapporto Svimez

Quadro sconfortante sulla situazione del Paese e del Sud in particolare: gli occupati tornano ai livelli del 1977, il divario di Pil pro capite con il Nord torna al dato di 10 anni fa, il Mezzogiorno perde ancora giovani (quelli qualificati) e le previsioni indicano che il divario peggiorerà. Le diagnosi semplicistiche però non servono a cambiare rotta
Svimez

Uno vince, l’altro perde: è la vita, soprattutto quella sportiva! Ma nella vita sociale e politica può succedere che perdano tutti, nessuno escluso. Che il furore di segnare un gol nella porta avversaria generi viceversa un autogol. Che ogni contendente rimanga intrappolato in un reticolo di paradossi. E che ciascuno contraddice ciascun altro, finendo per contraddire anche se stesso.

È ciò che sta capitando alla nostra Nazione con la sua costitutiva questione meridionale. Le anticipazioni dello scorso 30 luglio del rapporto Svimez sul Mezzogiorno evidenziano un quadro sconfortante sulla situazione del Paese e del Sud in particolare: gli occupati tornano ai livelli del 1977, il divario di Pil pro capite con il Nord torna al dato di 10 anni fa, il valore aggiunto dell'industria in cinque anni è diminuito del 28,6%, sono tre dati che non lasciano margine di interpretazione alla situazione socioeconomica già alla deriva.

In questo quadro generale, ce n’è uno ancora più allarmante: il Mezzogiorno perde ancora giovani, quelli più qualificati, su cui bisognerebbe far leva per ripartire, a causa di una seconda grande migrazione. Il fenomeno, infatti, dal 2001, ha prodotto un saldo migratorio netto di 708mila persone, di cui 494mila tra 15 e 34 anni. Questi giovani, in genere laureati, rappresentano un’ulteriore perdita per le risorse impiegate a formarli e che non hanno un ritorno locale. In diminuzione anche i consumi (-2,4%) e gli investimenti fissi lordi (-5,2%).

Questi dati, però, non sono in linea con il resto del Paese. Cioè non sono tutti attribuibili alla stessa grande crisi che ha toccato l’economia globale, l’Occidente e l’Italia. Infatti, il Mezzogiorno fa registrare un’intensità della crisi sconosciuta al resto della nazione.

Tra il 2008 e il 2013 l'occupazione del Mezzogiorno è caduta del 9%, a fronte del -2,4% del Centro-Nord. Delle 985mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, 583mila sono residenti nelle regioni meridionali. Una flessione che riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, il livello più basso dal 1977.

In base alla valutazioni della Svimez, nel 2013 il Pil è diminuito nel Mezzogiorno del 3,5%, con un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4%). È il sesto anno consecutivo con un segno negativo, mentre l'altra area del Paese aveva ottenuto almeno una boccata d'ossigeno con la ripresina del 2010-2011. Se si guardano gli andamenti di lungo periodo, la perdita nel 2008-2013 è stata del 13,3% contro il 7% del Centro-Nord. Alla fine dello stesso periodo, in termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno è sceso al 56,6% del valore del Centro-Nord, tornando ai livelli del 2003.

Anche le previsioni ci indicano che il divario peggiorerà, perché la nel Centro-Nord ci sarà la ripresa e il Sud rimarrà in recessione: quest'anno il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,6%, come risultato del +1,1% del Centro-Nord e del -0,8% del Sud. Stessa dinamica per il 2015: si andrà dal -0,3% delle regioni meridionali al +2,2% del Nord-Ovest. In vista anche un'ulteriore perdita di posti di lavoro, con un -1,2% che porterebbe il Sud a quasi 800mila posti di lavoro in meno rispetto al 2007.

Il presidente dello Svimez Adriano Giannola si è soffermato sulle cause di contesto che fanno pagare un conto più salato alle aree marginali del Paese, che amplificano la divisione territoriale dell’Italia. Il dato su cui si soffermano sono gli investimenti pubblici che calano maggiormente dove lo sviluppo è minore.

Nel 2012, la spesa aggiuntiva per la macroarea è scesa al 67,3% del totale nazionale, ampiamente al di sotto della quota dell'80% fissata per la ripartizione delle risorse aggiuntive tra aree depresse. È soprattutto il dato relativo alle imprese pubbliche nazionali a colpire: la spesa in conto capitale per le aree sottoutilizzate del Sud è pari a poco più della metà di quella riservata all'altra grande macroarea.

E sono state tutt'altro che neutre anche le manovre effettuate dal 2010 ad oggi dai vari governi, che nel 2015 peseranno per il 9,5% del Pil al Sud contro il 6% del Centro-Nord. Per dire il conto grava soprattutto a Mezzogiorno come effetto di scelte politicamente orientate.

In questo contesto, intanto, il governo non ha un piano per il Sud. Il sottosegretario alla presidenza Delrio, intervenendo alla presentazione del rapporto Svimez, ha risposto con la parola d’ordine del governo: velocità! Bisogna velocizzare la spesa, iniziando a sbloccare quello che c'è: «Non è stato ancora utilizzato niente dei 450 milioni dell'accordo di programma per Gioia Tauro. Non è possibile: con quei soldi si ribalta il mondo» chiosa Delrio.

A parte il roboante ribaltamento del mondo (noi ci accontenteremmo  di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia), Delrio dovrebbe sapere che la programmazione 2000-2006 ha visto nel Mezzogiorno la spesa quasi totale dei fondi dell’Unione e, tuttavia, l’Italia e le regioni meridionali hanno continuato ad arretrare nel ranking regionale europeo e il divario Nord-Sud si è ampliato. È evidente che il problema (quando le cose vanno bene) non è solo spendere tutto nei tempi programmati.

Ma è evidente anche che ciascuno, additando la colpa agli altri (Europa, Merkel, burocrazia, meridionali, settentrionali, immigrati, fannulloni, professoroni, frenatori, imprese, sindacati, regioni o provincie ecc.) per segnare un punto a proprio favore, non si accorge che realizza un autogol, soprattutto verso quel Nord produttivo, che ad oggi rivolge il 75% della sua produzione al mercato interno! Continuando ad affrontare i nodi del Paese con lo sguardo breve e veloce (semplificatorio), nessuno vince, tutti perdono, l’Italia in primis. Un clamoroso autogol!

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