L’Italia si ridesti
Nel 150° dell’unità nazionale un forte richiamo del card. Bagnasco, presidente della Cei, a ritrovare le capacità migliori del nostro popolo
«Non c’è spazio per rimpianti e nostalgie». Così, il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, sintetizza l’atteggiamento attuale della Chiesa italiana vero il Risorgimento, ricordando la celebrazione nella basilica romana di Santa Maria degli angeli, che non è stata un gesto di «concordismo vago e sfuocato», ma un voler ringraziare Dio «per la vocazione singolare e i talenti elargiti a questa terra benedetta», in cui il «comune sentire cristiano, come i molteplici scambi ed esperienze concrete di fraternità già prima del 1861 hanno l’hanno tenuta insieme quale realtà unica…». «Abbiamo rinnovato l’impegno a servire il Paese e ad amarlo nell’esclusiva ottica del vero bene comune».
Partendo da quest’ottica, Bagnasco ha delineato alcune considerazioni essenziali. Si è detto, e con lui i vescovi, preoccupato «perché il sentimento di consapevole solidarietà che non può non legare i cittadini di una stessa nazione», si vada affievolendo, diventando quasi «impalpabile». Ne derivano un individualismo esasperato ed una rarefazione demografica indicatori di una crisi della solidarietà che rende il Paese «più fragile».
Da qui lo sguardo si è rivolto sulle aspirazioni alla libertà del Nordafrica e del mondo arabo, nei confronti del quale «le opinioni pubbliche dell’Occidente manifestano un evidente deficit di conoscenza circa la situazione interna dei vari Paesi» verso i quali l’Europa tutta «ha delle responsabilità» riguardo al suo operato storico. «Continuare a ritenere interi popoli poveri come fastidiosi importuni non porterà lontano. Essi domandano, al loro modo, di partecipare alla fruizione dei beni materiali, mettendo a frutto la loro capacità di lavoro…». Perciò è l’ora di attuare politiche di autentica cooperazione in Italia, fra le regioni, ma anche nell’Europa chiamata a passare da una partnership della «convenienza» a quella della «convivenza»: una sfida storica, il cui risultato, a seconda del suo svolgimento – «danneggerà o beneficerà tutti».
La stragrande maggioranza infatti degli immigrati sono giovani – osserva il cardinale – e così si profila un problema di interfaccia tra quelli coloro «che vogliosi di vita spingono ad entrare e la vecchia Europa che tenta di difendere i propri bastioni».
Naturalmente, Bagnasco, il linea col papa, condanna l’intervento armato in Libia e spinge a cercare soluzioni diplomatiche. Il richiamo alla non violenza poi si allarga nel denunciare le persecuzioni religiose in Egitto, Iraq e Pakistan, affermando che «intendiamo batterci perché non si debba più piangere e morire per la propria fede».
Ritornando all’Italia, il cardinale assicura l’impegno della chiesa a lavorare «per una educazione al rispetto e al dialogo». E si sofferma sia sulla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici come sulla necessità dell’accoglienza, ricordando la morte dei quattro bambini rom a Roma.
Bagnasco si dice preoccupato per il «diffuso senso di malessere che non deve intaccare la fiducia della gente verso le proprie capacità e il destino del Paese», ed invita, anche i media (ed il mondo politico), ad evitare ogni atteggiamento di enfasi propagandistica o di catastrofismo, affidandosi alla concretezza, che sola «dà credibilità».
Non mancano gli accenni ai problemi reali del Belpaese, dalla disoccupazione giovanile e femminile, alla necessità di una legge sul fine vita rispettosa della persona umana, ad una politica di autentico sostegno alla famiglia «architrave della società».In definitiva, il discorso del presidente della Cei invita gli italiani a uscire dall’egoismo e dal pessimismo. Ricordando il Risorgimento, per il quale hanno vissuto tanti cattolici. Infatti il papa canonizzerà il prossimo 23 ottobre Guido Conforti e Luigi Guanella «figure impareggiabili del risorgimento italiano e cattolico».