L’Italia multilaterale di Gentiloni

Il presidente del Consiglio italiano, parlando all’Onu e alla New York University, traccia una visione del mondo inclusiva: no ai populismi, ai muri e al pugno forte con la Corea del Nord. Sì all’Europa, al ritorno della Libia nelle Nazioni Unite, allo sviluppo per l’Africa.

Sia nel salotto della Casa Italiana della New York University, sia sul podio dell’Onu la figura di Paolo Gentiloni non si impone. Sorride a chi lo definisce un premier insolito per l’Italia, perché ne contraddice tutti gli stereotipi con la sua pacatezza, il suo inglese elegante, una visione chiara e non trionfalista. «Ma a quali premier siete abituati?», risponde a Katherine Fleming, pro-rettore dell’università, strappando un sorriso a tutta la platea.

Le parole d’ordine del primo ministro italiano nella tappa a New York sono multilateralismo, inclusione, sviluppo sostenibile, lavoro comune. Lo ha ribadito con fermezza davanti all’assise delle Nazioni Unite ricordando che priorità per l’Europa e per l’Italia è lo sviluppo dell’Africa, dove serve coniugare giustizia e riconciliazione e dove ci si gioca «il futuro», perché «serve sviluppare inclusione per combattere la povertà e vincere la sfida migratoria, una realtà permanente». E racconta al mondo la generosità del nostro Paese, la risposta agli imperativi etici e ai trattati internazionali, e traccia al contempo tre piste di lavoro comune per l’Europa e l’Onu: investire nei Paesi di origine delle migrazioni, proteggere i rifugiati e i migranti, considerare le migrazioni un’opportunità.

In una risposta, la sera precedente, alla Casa italiana aveva già raccontano di essersi confrontato con il presidente del Messico, Enrique Peña Nieto, a proposito dei flussi migratori negli Usa e il capo di Stato messicano aveva prospettato un tempo di 20-30 anni per una reale stabilizzazione del fenomeno. Tempi lunghi che Gentiloni non auspica alla stabilizzazione della Libia, anche questa considerata una priorità. Categorico è il no alle soluzioni militari e alla divisione del Paese, pressante è invece l’invito all’Onu di rientravi per accompagnare un processo di libere elezioni e per offrire aiuti umanitari.

Siria, Corno d’Africa, Mali, Niger, Venezuela: le scelte di pace, di democrazia, di contrasto al terrorismo non prevedono nel piano Gentiloni attori isolati o muri, ma risposte coese, sotto l’egida delle Nazioni Unite, anche nella situazione della penisola coreana a cui il premier guarda «con angoscia», ma continua a credere fermamente che l’approccio multilaterale con «tanti giocatori in campo» sia quello risolutivo. Prospettiva ben diversa da quella statunitense evidenziata nel discorso di Trump.

Donald TrumpAlla richiesta di un commento sull’intervento del presidente Usa, il premier ha sottolineato che i temi erano noti, ma ha apprezzato che il rapporto con le Nazioni Unite sia meno bellicoso. «È ancora da trovare l’equilibrio tra necessità del proprio Paese e mondo, ma il linguaggio di Trump è il linguaggio di questo tempo di contraddizioni – ha continuato Gentiloni –, in cui i vantaggi della globalizzazione che tanto vantiamo da un lato, dall’altro sembrano creare problemi alla nostra nazione. Ci troviamo a vivere una fase di post-sovranità con i problemi globali di clima, terrorismo, finanza e una fase di iper-sovranità dove ci si rinchiude su se stessi: la soluzione resta sempre un approccio multilaterale. I rapporti bilaterali con gli Usa restano buoni, ma la nostra visione del mondo prevede altro».

Dal salotto della Casa Italiana di New York si è anche levato un monito del presidente del Consiglio contro il rischio del populismo. «I reazionari di oggi fanno un uso politico della nostalgia per disegnare un mondo che non esiste e sognano persone totalmente diverse dalla realtà. La nostalgia può essere un potente motivatore politico, più della speranza, e crea illusioni e maestri di illusione che usano a proprio vantaggio la rabbia e la frustrazione delle persone». Ma aggiunge fiducioso: «Credo non ci siano possibilità che le politiche anti-establishment e anti-Europa conquistino la maggioranza di governo del nostro Paese». Gentiloni è un convinto europeista e legge la Brexit «come una sveglia per l’Unione Europea nell’impegno su un progetto unitario e comune, vicino ai cittadini».

Stefano Albertini, direttore della Casa Italia, lo incalza sulla tenuta del Paese di fronte alle sfide economiche, migratorie, bancarie. Gentiloni esordisce con un aneddoto vissuto durante la sua ultima visita alla cancelliera Merkel. «All’uscita del suo studio ho contato i quadri con i suoi predecessori dal dopoguerra ad oggi: erano sette. I quadri dei nostri presidenti sono molti di più perché in Italia c’è stato un ricambio molto più ravvicinato; ma questo non ha minato la stabilità del Paese, anzi ha provato la forza della Costituzione, la stabilità dei valori, il libero mercato. Siamo rimasti in Europa e anche di fronte ad una sfida complessa come quella delle migrazioni abbiamo retto. Sono ottimista sull’Italia e sulle sue possibilità di cambiamento».

Le prossime scadenze elettorali diranno se aveva torto o ragione, ma intanto alle Nazioni Unite l’Italia resta un partner affidabile e credibile su cui conta anche lo stesso segretario generale, per la riforma che intende attuare al più presto.

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