L’Italia, le paure e la speranza nel Rapporto Censis 2023
«Ciechi davanti ai presagi, passivi come sonnambuli». questa la fotografia del Censis. Serpeggia infatti un senso di impotenza in molti giovani e di rassegnata delusione negli anziani.
La realtà purtroppo si presenta in tutta la sua cruda durezza: prima il Covid, poi la guerra di aggressione dei russi all’ Ucraina, poi la guerra sulla striscia di Gaza, femminicidi ogni settimana, economia italiana con bassa crescita e conti pubblici al limite, scontri politici frontali senza ascolto reciproco e condivisione.
Altro che fraternità in politica! Manca lungimiranza nei programmi elettorali. Siamo vittime del presentismo e dell’incasso immediato dei voti senza preoccuparsi del mantenimento delle promesse. È urgente invece una prospettiva più ampia di un Paese almeno al 2050.
Prevale allora la paura dei cambiamenti climatici, dei flussi migratori, delle guerre, dei tagli del welfare, in sanità pubblica in particolare. Siamo invecchiati e rimpiangiamo una prosperità perduta.
Nel 2050 saremo 4,5 milioni in meno. Oggi i giovani che entrano nel mondo del lavoro, fascia 18-34 anni, sono 10 milioni. Nel 2003 superavano i 13 milioni. Precarietà del lavoro, mancanza di nidi o di nonni vicini: 3 milioni di figli in meno. Questo è declino demografico.
Cosa saremo noi italiani nel 2050? Una popolazione fortemente invecchiata teme soprattutto per medicina di prossimità e assistenza. «E si comprende anche il gran favore per l’eutanasia, che altro non è che tangibile paura. Triste destino per i baby boomers, gli italiani più vaccinati, nutriti e istruiti di sempre. Il posto super garantito, la pensione a sessant’anni. Una generazione che non ha visto la guerra e ha perso la spinta dei suoi vecchi, che ricostruirono il Paese» ( così Marina Corradi, Avvenire, 2 dicembre 2023).
Dobbiamo ritrovare la giusta tensione verso la seconda ricostruzione dell’Italia, verso una vita buona e ricca di senso, anche con la spinta dei nuovi italiani, animati dalla voglia di vivere e di migliorare la loro condizione, avendo visto miseria e guerre.
Gli imprevisti della Storia degli ultimi anni non possono impedirlo. «L’ imprevisto abita forse in aule di periferia, fra i ragazzi dei nostri oratori, nelle Maternità italiane piene di neonati cinesi o africani. Il 2050 sta già cominciando. Accogliere, volere bene, insegnare l’italiano, fare studiare i migliori. Un popolo si fabbrica così, è accaduto sempre: in quell’ imprevisto tenace che è la vita, troppo grande per le statistiche». (M. Corradi)
Il 57° Rapporto sulla situazione sociale del Paese interpreta i più significativi fenomeni socio- economici del Paese nella fase di transizione che stiamo attraversando. Antonio Polito si chiede perché, nonostante tutto, la speranza ha ancora un senso. Al momento soffriamo di “sonnambulismo”: «gli incubi notturni non si trasformano in energie al mattino, i presagi funesti non generano iniziativa e forza d’ animo. Ma anzi abbattono, deprimono. E qui davvero la profezia rischia di autoavverarsi. …Non è un caso se da almeno un decennio i profeti di sventura vincono le elezioni. Salvo poi diventare inguaribili ottimisti una volta andati al governo, e perderlo poco dopo a vantaggio di chi sa vendere un nuovo prodotto sul mercato delle paure». (Corriere della Sera, 3 dicembre).
Una vera classe dirigente invece sa trasformare le paure in speranze, lo scoramento in combattimento. Dobbiamo sperare. Il Censis anche in passato ha saputo riconoscere segni di riscossa dopo la crisi. Ovviamente serve una politica capace di dialogo per indicare a tutti gli italiani una comunità di destino e non una sterile contrapposizione.
Dal Rapporto emerge una Italia stanca e disamorata della vita. Sembriamo rassegnati al corso degli eventi. L’ 80 % crede che il Paese sia in declino. 36 mila giovani hanno lasciato l’Italia l’anno scorso per cercare un buon lavoro all’ estero.
Delusi dalle promesse della globalizzazione ci rifugiamo nella “ricerca di uno spicchio di benessere quotidiano” o nell’ illusione di un impossibile sovranismo nazionale. Sembriamo privi di ideali anche se poi il Paese ha reagito al femminicidio di Giulia con emozioni forti, sincere, concordi. La ” politica” in tutto questo appare lontana, impotente e scivola via come acqua su una lastra di marmo.
È una crisi esistenziale del cittadino nella sua auto- comprensione quotidiana, in uno scenario di individualismo, frammentazione e autoreferenzialità. C’ è un grande bisogno di trascendenza che un Ideale potrebbe intercettare illuminando la vita quotidiana delle persone con la luce della speranza e dell’amicizia sociale.
In conclusione appare un Paese «con molte scie, ma nessuno sciame, con una direzione, ma pochi traguardi, in cui i meccanismi di mobilità sociale si sono usurati». Sullo sfondo una economia in rallentamento, anche se con un record di occupati, se comprendiamo lavoro povero e precario, dopo la fine dell’espansione monetaria, con una società inquieta ma precipitata in un sonno profondo. Siamo impauriti ed inerti nella fotografia del Censis. Allarma un particolare una previsione: nel 2040 solo una coppia su quattro avrebbe dei figli.
Conforta invece una buona notizia: in controtendenza sul grigio del sociale fanno eccezione gli insegnanti. Appaiono ancora in maggioranza soddisfatti e motivati nonostante le tasche quasi vuote. Disertano le piazze e cercano una soddisfazione nel proprio lavoro in classe. Il 95,6 % dei docenti si dichiara soddisfatto del proprio lavoro anche se guadagna il 26% meno della media europea. Era azzardato prevedere un cambio di rotta con l’arrivo del nuovo Governo.
In ogni caso permane lo scenario cupo tendente al grigio degli ultimi anni. Ecco le istantanee del Censis: “rancorosa irrazionale” (2021), “una ruota quadrata che non gira” (2020), dominata dal “furore di vivere” (2019). Di fronte a questo quadro di un Paese in declino e con sempre meno giovani, le forze politiche di maggioranza e di opposizione, abbandonando un confronto muscolare sterile, devono prendersi urgentemente cura del Paese reale con riforme strutturali condivise, ascolto reciproco, condivisione fraterna nella stessa comunità di destino europea.
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