L’Italia e le armi nucleari: appuntamento col card. Zuppi

Il devastante conflitto in Ucraina scatena una corsa agli armamenti che non esclude lo scenario nucleare. Cosa fare? Alla presenza del cardinal Matteo Zuppi, la proposta di un dialogo aperto tra le oltre 40 realtà firmatarie dell’appello “Per una Repubblica libera dalla guerra e dalle armi nucleari”
Guerra e armi nucleari. Foto caccia bombardieri (South Korea Defense Ministry via AP).

La guerra in corso in Ucraina può evolvere in qualsiasi momento in un conflitto mondiale, così come è avvenuto nell’Europa nel 1914. Lo storico Christopher Clarke ha ricostruito lo stato di sonnambulismo di quella generazione avviata verso un mattatoio che alcuni in Italia continuano a ritenere che non fu affatto “inutile” perché cementò, nel fango e sangue delle trincee, la nascita effettiva della “Nazione”.

Il torpore della coscienza avvolse in particolare le cosiddette classi dirigenti, mentre ai sudditi non restava altro che ubbidire agli ordini delle legittime autorità.

Il nostro tempo è però radicalmente diverso da quello della “grande guerra” perché viviamo, dal 1945, dopo l’orrore di Hiroshima e Nagasaki  sul “crinale apocalittico della storia”. Sono in pochi ad usare questa espressione del realismo di La Pira perché di fatto la percezione del pericolo dell’apocalisse nucleare è rimossa nella discussione pubblica. È nota, infatti, la presenza di migliaia di ordigni micidiali pronti ad essere lanciati da un club ristretto di Paesi, ma è più forte la convinzione intima di non poter far nulla di fronte a poteri prevalenti e inaccessibili. Contro ogni evidenza si è continuato a dare credito alla teoria che assicura la pace mondiale grazie alla parità strategica fra Usa e Russia, ex Urss.

L’università statunitense di Princeton ha, invece, elaborato una simulazione realistica che prevede, in caso di conflitto nucleare in Europa, un numero di vittime pari a 85,3 milioni in soli 45 minuti. Lo studio, accessibile in rete, prevede l’inevitabile escalation innescata dall’uso iniziale di bombe tattiche, quelle cioè definite meno letali e dagli effetti limitati.

A parere del generale Carlo Jean, per lungo tempo docente di strategia alla Luiss di Confindustria, il loro impiego, pur minacciato da Mosca nel conflitto in Ucraina, «è estremamente improbabile» salvo poi ipotizzare, di fronte ad “un colpo di testa” da parte di Putin, una risposta occidentale che «può variare enormemente: da uno scoppio dimostrativo sul Mar Nero o in zona poco abitata a un impiego di un centinaio di testate contro le forze russe» ( cfr. intervista di Marco Orioles su Start magazine 5 ottobre 2022).

Di cosa dibattono gli esperti? «Le cosiddette armi nucleari “tattiche” hanno in genere rese esplosive comprese tra i 10 e i 100 chilotoni. In confronto, la bomba atomica che distrusse Hiroshima nel 1945, uccidendo 140.000 persone, aveva una potenza di soli 15 chilotoni», come invitano a tener presente Senzatomica e Rete italiana pace e disarmo che, nel nostro Paese, rappresentano Ican, la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari  (International campaign to abolish nuclear weapons).

Si deve in gran parte a questa coalizione mondiale della società civile il raggiungimento di un traguardo che sembrava irraggiungibile: il trattato Onu di proibizione delle armi nucleari votato da 122 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite. Alla negoziazione non hanno partecipato gli stati detentori di armi nucleari e i loro alleati, con l’eccezione dell’Olanda che ha comunque votato contro. Con la cinquantesima ratifica, avvenuta il 22 gennaio 2021, il Trattato è entrato in vigore.

Si tratta di un vincolo assunto dai Paesi che lo hanno ratificato, ma ha un effetto a catena sull’intero sistema finanziario e delle materie prime necessarie per la costruzione degli arsenali. Soprattutto impone sulla ribalta mondiale l’unica modalità ragionevole per scongiurare l’autodistruzione dell’umanità.

Per storia e vocazione l’Italia può rivestire un ruolo centrale nel promuovere questa svolta epocale ma, di fatto, i governi che si sono succeduti sono rimasti fedeli alla linea dell’Alleanza atlantica che è contraria al trattato. Il nostro Paese non ha seguito neanche l’esempio di alcuni Paesi della Nato, ad esempio la Germania, che hanno almeno partecipato come osservatori al primo incontro delle nazioni parti del Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari che si è tenuto a Vienna nel giugno 2022.

Collocati al centro del Mediterraneo siamo una perfetta piattaforma logistica militare tanto da ospitare nelle due basi di Aviano e Ghedi decine di armi nucleari pronte ad essere caricare sui cacciabombardieri F35.

Grazie all’iniziativa Italia Ripensaci promossa da Senzatomica e Ripd sono state raccolte migliaia di firme per far cambiare idea alla classe politica. Obiettivo condiviso da centinaia di amministrazioni locali, soprattutto nel Bresciano, anche se a livello politico nazionale ci troviamo davanti ad un muro di gomma.

Ma c’è una novità che è tutta da verificare nella sua reale incidenza. Come è noto su tanti fronti esiste una profonda differenza tra l’urgenza di conversione integrale espressa dal papa e la realtà del mondo cattolico. Francesco è il più lucido e chiaro nel denunciare gli interessi dei fabbricanti di armi e l’immoralità non solo dell’uso ma anche della detenzione delle bombe nucleari. Argomenti e temi assenti o affievoliti negli ambiti ecclesiali.  È invece accaduto che a partire dal 25 aprile 2021 oltre 40 responsabili delle associazioni e movimenti cattolici hanno condiviso un forte appello proprio sulle armi nucleari sentendo il bisogno di interrogarsi e confrontarsi assieme in un’assemblea che si è tenuta il 26 febbraio 2022 nella sede nazionale dell’Azione cattolica.

La traccia di “un segno dei tempi” a 2 giorni dall’invasione russa dell’Ucraina che ha reso evidente l’abisso spalancato davanti all’umanità intera. Secondo Thomas Merton, il monaco trappista scomparso nel lontano 1968 ma indicato come esempio attuale da Francesco nella sua visita negli Usa, viviamo in un’era post cristiana dove l’idolo della bomba ha preso il posto di Dio nell’offrire una falsa sicurezza all’umanità impaurita.

Sapranno i cattolici italiani laicamente aiutare il loro Paese a riscoprire la sua originaria missione di pace liberandola da ogni dogma di transitorie dottrine militari? L’istanza ad affrontare il tabù delle armi nucleari è stata rilanciata ad Altamura, in Puglia, la notte del 31 dicembre durante la marcia della pace organizzata ogni anno dalla Chiesa italiana a partire dal 1968.

Dall’inizio del 2023 assistiamo ad un’accelerazione nella corsa al rifornimento di armi sempre più potenti e sofisticate, da parte di entrambe gli schieramenti. Il segnale dello scontro ancora più cruento che si attende, con la fine dell’inverno, sul teatro di guerra in Ucraina. Il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, ha il merito di parlare chiaramente. A suo parere «solo gli Stati Uniti sono in grado di imporre la fine del conflitto. Prima o poi l’invio periodico e limitato di armi occidentali ai combattenti ucraini non basterà più. Bisognerà considerare l’invio di nostre truppe in Ucraina. A quel punto ci scopriremo di fronte alla scelta che abbiamo finora evitato di considerare: fare davvero e direttamente la guerra alla Russia oppure lasciare che la Russia prevalga».

Non ha timore ad evocare la scelta della guerra Vittorio Emanuele Parsi il docente di relazioni internazionali dell’università cattolica di Miano. Una scelta definita non voluta ma obbligata, per difendere il bene non negoziabile della democrazia, che argomenta rievocando anche D’Annunzio, in un testo (“Il posto della guerra e il costo della libertà”) dove pone senza remore la domanda: «per che cosa siamo disposti a morire (e a uccidere)?».

Scenari e domande che restano silenti fino ad emergere all’irrompere del punto di non ritorno.

Infatti «se una comunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armi atomiche di potenza distruttiva pari. In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile». È la descrizione realistica contenuta nell’enciclica Pacem in Terris del 1963. Un testo dove papa Giovanni XXIII metteva inevidenza che «non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico».

Ma anche senza il caso accidentale, l’uso dell’arma nucleare può essere considerata un male necessario secondo alcuni. Non si possono dimenticare le memorie di Winston Churchill, uno dei vincitori della seconda guerra mondiale, a proposito degli ordigni usati sul Giappone nel 1945: «Eravamo entrati in possesso di un mezzo provvidenziale per abbreviare il macello. Un miracolo di liberazione».

Con tali premesse si comprende che non si attendo dichiarazioni retoriche e velleitarie sulla pace nel momento di dialogo e discernimento proposto per sabato 18 febbraio 2023 a Bologna dalle associazioni firmatarie dell’appello “Per un Repubblica libera dalla guerra e dalle armi nucleari”. Un incontro in cui interverrà anche il presidente della Conferenza episcopale italiana cardinal Matteo Zuppi.

Non è più tempo di appelli che restano inascoltati, ma di capire cosa fare per dirottare un corso della storia che sembra già segnato. È un grande pretesa ma l’unica ragionevole in un tempo di follia.

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