L’Italia ha perso, viva l’Italia
La vergogna degli azzurri non deve nascondere le mille verità che il calcio nasconde…
Come va l’Italia? Il neoministro Brancher invoca il legittimo impedimento, mentre Innocenzi lascia l’Agcom; la Confindustria lo ammette: «La recessione è finita, ma i disoccupati cresceranno»; Stanca si dimette dall’Expo di Milano e le regioni vogliono restituire le deleghe al governo; mentre la Marcegaglia denuncia che «si evadono 125 miliardi di euro», mentre a Roma viene organizzato il Festival della seduzione; Dell’Utri a giudizio e Siffredi evasore totale…
Come va l’Italia? Dice Buffon: «Siamo lo specchio di un calcio in crisi», mentre Granellini scrive su La Stampa: «Un Paese senza futuro»; «L’Italia è un po’ pesta», si ride su Internet, mentre il card. Bertone si affretta a di re che «ho detto al papa che tifo Germania»; Calderoli non ne perde una: «Troppi stranieri, sistema sportivo demenziale», mentre Rivera non ha dubbi: «Stavolta non è la Corea del Nord, la batosta era annunciata». Su tutti Gattuso: «Ci faranno cavalieri della vergogna».
Come va l’Italia, insomma, dopo la sconfitta sudafricana? Non bene, questo è certo. Ma, dopo l’indecoroso spettacolo offerto dalla Francia – con il grave strascico di maldicenze, denunce, gole profonde e linguaggi da trivio –, almeno i calciatori italiani, e il loro leader in panchina, hanno avuto il pudore di ammettere le proprie colpe e di abbassare la testa. Almeno questo lo dobbiamo riconoscere ai nostri eroi. Anche se per mesi Lippi ha guardato tutti dall’alto in basso, sicuro delle sue idee e delle sue scelte, poi miseramente rivelatesi per quello che erano: scelte e idee personali, quindi per forza di cose caduche. Se avevamo vinto in Germania grazie alla squadra, ora naufraghiamo proprio per il non aver saputo far squadra.
Una piccola riflessione, che emerge proprio dal mea culpa dei giocatori che non han cercato scuse: gli equilibri del mondo stanno cambiando. Le energie vitali stanno lasciando l’Europa per migrare a Oriente e a Sud. L’innovazione, fiore all’occhiello della Penisola, ormai ha trovato casa a Madras e a Salvador de Bahia. La capacità di soffrire (e lavorare) dei nostri migranti se n’è andata sulle spalle di altri migranti.
E allora? Dobbiamo imparare a perdere. Come dice il nostro esperto Paolo Crepaz, bisogna cominciare a diventare metabolizzare la “cultura della sconfitta”. Per sopravvivere in un mondo troppo globalizzato (e troppo localizzato) dobbiamo saper ripartire dopo ogni sconfitta, inevitabile sconfitta, riacquistando l’umiltà e il coraggio, che sono gli ingredienti di ogni rinascita. Lippi ha detto che i suoi giocatori erano terrorizzati: e perché mai? La modesta Slovacchia aveva tale potere? Così come la Nuova Zelanda? Niente paura, ragazzi! Ma dobbiamo avere la coscienza che non siamo più i padroni del mondo, nemmeno nel calcio.
E allora, l’Italia ha perso, viva l’Italia! E impariamo a perdere.