L’Italia dopo il vertice Nato di Washington

Il governo Meloni ha ottenuto obiettivi importanti nell’incontro che ha celebrato i 75 anni dell’Alleanza Atlantica con la prospettiva di nuove commesse per l’industria militare e accordi propiziati dall’iniziativa del ministro Crosetto. Analisi e prospettive anticipate in un convegno promosso a Roma dai principali think tank che elaborano la posizione del “sistema Paese” nello scenario internazionale
Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il ministro della Difesa Guido Crosetto al summit Nato a Washington (Usa), NPK ANSA / Filippo Attili - Us Palazzo Chigi

Ampia soddisfazione è stata espressa dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni al ritorno dal viaggio negli Usa dove ha partecipato al vertice dell’Alleanza Atlantica che si è concluso l’11 luglio 2024. Tra i vari obiettivi raggiunti dall’Italia c’è la nomina di un inviato per il fianco Sud della Nato, incarico che potrebbe essere ricoperto da un esponente del nostro Paese. Ma le novità sono molte altre.

Giorgia Meloni (C), Joe Biden (L) e Jens Stoltenberg (R). EPA/TING SHEN / POOL

I 75 anni della Nato sono stati, infatti, celebrati in anticipo a Roma il 27 giugno, in un convegno a porte aperte nel teatro Santa Chiara, prima della grande kermesse organizzata a luglio per l’occasione a Washington D.C. in un clima di festa per l’allargamento dell’Alleanza atlantica a 32 membri effettivi e 9 annunciati, tra cui l’Ucraina, dopo la crisi seguita al ritiro delle forze occidentali dall’Afghanistan nel 2021.

Una scelta traumatica decisa dall’allora presidente Trump, senza consultare gli alleati, nelle trattative dirette a Doha, in Qatar, con il regime talebano da parte del suo Segretario di Stato Mike Pompeo, ma confermata da Joe Biden che ha dovuto gestire l’immagine pubblica di quella che è apparsa una vera e propria resa dopo oltre 2 mila miliardi di dollari spesi solo dagli Stati Uniti in 20 anni di intervento militare.

Come ci informa Il Sole 24 ore, in questa fase controversa della politica Usa contrassegnata dalla scadenza elettorale delle presidenziali del prossimo novembre, i rappresentanti dei diversi Paesi si sono incontrati con i generali di fiducia di Trump, possibile vincitore alle urne del 5 novembre, che ribadiscono la strategia annunciata di continuare ad assicurare la protezione Usa solo per i Paesi in regola con le percentuali dovute del 2% del Pil in spesa militare. L’Italia risulta tra gli stati inadempienti anche oggettivamente, ma può far valere il primato tra gli alleati  del contributo di uomini e mezzo per le missioni all’estero delle sue forze armate. Ovviamente dopo quello “americano”.

NATO EPA/MICHAEL REYNOLDS

Ad ogni modo l’impegno assunto a raggiungere l’obiettivo di spesa è stato ribadito più volte dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni nelle dichiarazioni ufficiali rese a Washington accompagnate da un corredo fotografico per la stampa.

Le immagini dimostrano una grande intesa consolidata con Biden e il segretario della Nato Stoltenberg in procinto di lasciare il suo scranno a Mark Rutte, ex premier olandese, che rappresenta una garanzia per la linea politica di una Difesa Ue in sinergia con quella della Nato, un pilastro europeo dell’Alleanza senza pretese di autonomia e distinguo.

La nomina dei vertici Ue, a partire dalla von der Leyen, che si concluderà entro luglio con la ratifica del Parlamento europeo, e la conseguente assegnazione dei top jobs, cioè dei commissari di peso all’interno dell’Unione, rappresenta una conferma in questa direzione come dimostra il fastidio conclamato verso l’azione diplomatica ritenuta irrituale del premier ungherese Orban che è andato in Ucraina, Russia e Cina con l’intento di  trovare una soluzione al conflitto che appare sempre più senza via d’uscita nel cuore dell’Europa.

Una guerra che richiede una quantità senza fine di armi destinata ad aumentare assieme al rischio di escalation dopo l’ennesima strage di vittime innocenti consumata proprio alla vigilia del vertice Nato a Kiev dove missili russi hanno colpito un ospedale pediatrico. Un orrendo crimine di guerra denunciato dall’Onu al pari della serie di attacchi consumati nella Striscia di Gaza dove le forze armate israeliane continuano a colpire ospedali e scuole nella convinzione espressa di eliminare terroristi che si fanno scudo di tali edifici. Anche Mosca nega il coinvolgimento nella strage dell’ospedale di Kiev incolpando la contraerea ucraina in un processo di alterazione della verità che è la prima vittima di ogni guerra.

Di tutti questi scenari hanno dimostrato di avere grande contezza i rappresentanti dei centri studi e think tank convocati dall’Istituto Affari Internazionalifondato nel 1965 su iniziativa di Altiero Spinelli, lo scorso 27 giugno nel convegno “75 anni di Nato e Italia: stato dell’arte e sfide future”, alla presenza di esponenti dei vertici militari, politici e diplomatici per ribadire la tesi della Nato come garanzia di sicurezza e pace.

Una convinzione che comporta la necessità di fare sistema con le imprese della difesa su scala mondiale a fronte della fornitura di armi sempre sofisticate richieste dal governo ucraino per poter resistere all’avanzamento russo ed evitare, così, l’allargamento del conflitto a Paesi dell’Alleanza.

Assieme alla deterrenza dello strumento bellico esiste l’impegno dei Paesi  Nato a rendere disponibili sul campo, in caso di necessità, almeno 100 mila soldati entro 10 giorni in caso di attacco, con l’obiettivo di raggiungere mezzo milione di unità operative entro 180 giorni.

“La Russia non arretra” come osserva Elio Calcagno su Affari internazionali (magazine on line dello Iai): «Sebbene le forze di Mosca continuino a subire perdite impressionanti sia in termini di personale che di mezzi e armamenti, l’industria russa sta riuscendo nell’intento di aumentare la produzione soprattutto di sistemi meno avanzati, aggirando le sanzioni e affidandosi a nuovi fornitori in Paesi amici».

Secondo Alessandro Marrone, sempre dello IaI, la Nato assolve anche alla finalità di garantire la pace tra i Paesi dell’ex blocco sovietico, potenzialmente in conflitto tra di loro, grazie alla comune adesione  all’Alleanza Atlantica. Tra di essi si distingue la Polonia che, come annota Calcagno, «dal febbraio 2022, ha firmato contratti dal valore complessivo di decine di miliardi di dollari per la fornitura di sistemi di difesa aerea, carri armati, artiglieria, munizioni e molto altro».

Per poter seguire questo esempio, l’Italia deve chiedere che le spese pubbliche in armamenti non siano conteggiate tra quelle vincolate al patto di stabilità reintrodotto in Europa. Ed è questa l’istanza più volte formalizzata dal ministro della Difesa Guido Crosetto che a Washington ha partecipato al  NATO Summit Defense Industry Forum, come «occasione di incontro con alleati, partner e rappresentanti delle industrie, settore cardine per garantire una difesa comune efficace e credibile. Prezioso momento per discutere di progressi, sfide e opportunità».

Antonio Tajani e Guido Crosetto, al summit Nato a Washington 2024. NPK ANSA / Filippo Attili -Palazzo Chigi

Crosetto conosce molto bene la materia avendo ricoperto la carica di presidente della Federazione delle Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza. Prima della sua nomina al ministero è stato  al vertice di Orizzonte Sistemi Navali S.p.A., società italiana, controllata da Leonardo e Fincantieri, che «opera nel settore dell’ingegneria e della sistemistica navale, progettando e realizzando unità navali militari, in particolare corvette, fregate e portaerei».

Crosetto non ha avuto remore nel criticare apertamente la strategia del “Triangolo di Weimar di avere un’Europa a più velocità nelle politiche della Difesa, con la primazia, cioè, di tre Paesi (Germania, Francia e Polonia) stretti in un accordo diretto a fornire missili a lungo raggio all’Ucraina.

E così uno degli obiettivi raggiunti nel vertice della Nato di Washington è stata la dichiarazione comune di intenti firmata stavolta a quattro (Germania, Francia, Italia e Polonia) con l’impegno a progettare missili (European Long-Range Strike Approach) con una gittata di oltre mille chilometri in grado di colpire obiettivi russi partendo dal territorio della Germania.

Da parte loro gli Usa hanno confermato la decisione di schierare in Germania a partire dal 2026 missili a lungo raggio (Sm-6 e Tomahawk) nonché “armi ipersoniche in fase di sviluppo” suscitando reazioni immediate e proclami bellicosi da parte di Mosca.

Joe Biden EPA/JIM LO SCALZO

Repubblica, giornale solitamente molto informato sulla politica estera statunitense, cita fonti autorevoli secondo cui esiste l’intenzione di installare gli stessi missili in Italia confidando in una mancata opposizione dell’opinione pubblica, ben diversa da quella che scese in piazza negli anni 80 contro l’installazione dei missili Cruise a Comiso, in Sicilia.

Un’area distesa si è potuta avvertire, infatti, il 27 giugno a Roma nel convegno dell’Istituto Affari Internazionali che ha radunato rappresentanti ed esperti del Comitato atlantico italiano, Geopolitica.info, Aspenia, European council on foreign relations per ascoltare la relazione dell’ambasciatore Marco Peronacci, rappresentante permanente dell’Italia presso il Consiglio Atlantico (Nato), e di Lorenzo Cesa, presidente della delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare della Nato. Non poteva mancare l’apporto delle banche con l’intervento di Niccolò Russo Perez, responsabile della “Missione aprire scenari internazionali” della Compagnia di San Paolo, che di per sé è una fondazione con finalità filantropiche.

Gli scenari internazionali di un riarmo generalizzato che ha già raggiunto i 2.443 miliardi di dollari nel 2023, con i Paesi Nato in posizione egemonica, non trovano perciò il “sistema Paese” impreparato con una maggioranza politica compatta a livello di governo e parlamento, con il solo limite dichiarato di non voler schierare soldati italiani in Ucraina.

Ovviamente il precipitare degli eventi, purtroppo possibile con l’allargamento del conflitto verso Paesi della Nato, obbligherà a compiere delle scelte. Ma l’ipotesi appare remota, anche considerando la numerosa presenza di ragazze e ragazzi nel teatro romano, giovani che frequentano corsi di geopolitica molto gettonati dei diversi centri studi.

Un cambiamento d’epoca che fa pensare se solo si fa memoria che quelle stesse mura del teatro di piazza Santa Chiara hanno visto nel 1919 la fondazione del Partito popolare di Sturzo, De Gasperi e molti altri, che, all’indomani della tragedia del primo conflitto mondiale, prevedeva tra i punti programmatici il disarmo universale.

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