L’Italia dei Bagnoli
La vittoria dei piccoli contro i grandi a volte succede, ed è una bellezza. Anche per chi ama vincere e che tenderebbe ad amare i campioni, vedere che è possibile il sogno, che gli ultimi diventano i primi, non solo a parole, ma che gli ultimi vincono davvero, è una cosa stupenda. Il Verona in quel favoloso 1985 ha rivoltato la storia calcistica, come si rivolta un calzino. Simbolo di quel successo, il famoso gol senza scarpa di Preben Larsen Elkjaer. Ed anche la grinta del “vecchio” Volpati. E le parate assurde di Garella. Ma soprattutto, simbolo di quel successo, lui, Osvaldo Bagnoli, l’allenatore. L’Hellas Verona viene in A dalla B nel 1981; l’anno dopo conquista il quarto posto in campionato e arriva alla finale di Coppa Italia, con una formazione composta da giocatori scartati da altre squadre. Poi con una paio di acquisti, Briegel e l’attaccante danese Elkjær vince lo scudetto nell’85. Lui, Bagnoli, è rimasto da allora il mio modello: si può vincere anche con gli “scarti”. Si può raccogliere quello che gli altri non vogliono più, e se c’è l’intesa con i dirigenti, se si riesce a motivare il gruppo, se si valorizzano al massino i talenti che si hanno, se si evita di litigare e se si mette da parte l’invidia ma si guarda tutti in una stessa direzione, se si riesce a decidere velocemente e non perdere il tempo in rimostranze, se si vuole raggiungere l’obbiettivo, se ci si dà una mossa e ci si mette a lavorare sodo senza guardare al dovuto, tutto è possibile. La grande storia l’ha dimostrato tante volte. Ma lo dimostra anche questa piccola storia, bella, tutta italiana, del modesto Bagnoli, che raccoglie gli scarti e batte le grandi. È l’emblema dell’Italia che c’è. Dell’Italia che vuole smettere di piangersi addosso, di lamentarsi, di protestare per ogni minima cosa (con l’obiettivo recondito o, almeno, con il risultato evidente, di non fare nulla). È l’Italia dei Bagnoli. L’Italia di cui sono orgoglioso. L’Italia che mi piace. E che spero piaccia a tanti.