L’Italia alla prova del Green pass
Sull’obbligo di Green Pass il governo Draghi tiene il punto e non ricorre all’usanza italica del rinvio all’ultimo minuto. La posta in gioco è tropo alta a livello politico per mollare la presa nonostante le critiche e i dubbi legittimi di chi teme il caos all’alba di venerdì 15 ottobre 2021, giorno di fine settimana individuato per far scattare l’obbligo di accedere sul luogo di lavoro solo se muniti di Carta verde anti Covid: certificato vaccinale o esito negativo del tampone molecolare ( che dura 3 giorni) o antigenico rapido (scade dopo 48 ore).
Per l’occasione l’esecutivo del governissimo di larghe intese ha rispolverato il provvedimento simbolo dell’emergenza pandemica del governo Conte 2: il Dpcm firmato il 12 ottobre e disponibile sul sito della presidenza del consiglio con il corredo delle risposte alle domande più frequenti circa l’applicazione di una norma che interessa in particolare i lavoratori non vaccinati che secondo le stime oscillano tra i 2 milioni e mezzo di un documento governativo e i 5 milioni conteggiati dalla Fondazione Gimbe considerando l’intera popolazione in età lavorativa che per vari motivi non ha fatto il vaccino anti Covid.
Salvo casi particolari certificati dal medico competente, l’obbligo del Green pass dovrebbe indurre a fare questa scelta di immunizzazione dal rischio gratuitamente assicurata dallo Stato che ha acquistato milioni di dosi di vaccino dalle diverse case farmaceutiche che sono riuscite a certificare il loro prodotto dall’Aifa.
Obiezioni all’obbligo del lasciapassare anticovid sono state espresse anche da stimati pensatori come Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, mentre per ragioni di cautela in alcuni eventi si richiede oltre al green pass anche l’esito negativo del tampone antigenico
Non esistendo tuttavia l’obbligo vaccinale, una parte della popolazione preferisce sottoporsi al tampone che assicura l’assenza del virus solo per un tempo limitato e quindi deve essere ripetuto almeno ogni 2 giorni pena la mancanza del lasciapassare con sospensione del salario e copertura contributiva.
Alcuni datori di lavoro, pur di non fermare la produzione, hanno deciso di sostenere la spesa che i dipendenti non vaccinati devono pagare per i tamponi periodici (costo stimato mensile da 150 a 200 euro) ma non è questo l’intenzione della pubblica amministrazione e la regola si applica anche ai parlamentari.
Ad ogni modo i portuali di Trieste hanno dichiarato di opporsi in ogni modo a tale norma considerata impositiva tanto da rifiutare anche la gratuità dei tamponi. Se di dovesse realizzare il blocco della logistica, dai porti alle postazioni intermodali nonché nei trasporti, l’intero sistema di circolazione andrebbe i tilt mettendo in crisi l’approvigionamento della merce sui bancali dei mercati e della grande distribuzione.
Un rischio che evidentemente il governo ha deciso di correre cercando l’accordo con i sindacati confederali, compresa la Cgil di Landini che in diverse occasioni aveva affermato: «Il lavoro è un diritto non può esistere che si debba pagare per poter entrare in fabbrica o in ufficio. Il governo non ha saputo prendere la decisione dell’obbligo vaccinale per le sue divisioni interne, abbia il coraggio di dirlo. Hanno fatto tutto senza consultarci, come sempre, e ora pretendono che a pagare siano i lavoratori». Anche nell’incontro del 14 ottobre tra Cgil, Cisl, Uil e Draghi, Landini ha ribadito di aver segnalato «al governo che rispetto alle questioni che riguardano il green pass è il momento di andare su una strada che introduca un abbassamento molto forte del costo del tampone e che si potenzi il credito di imposta che permetta alle imprese, su tutte le spese di sanificazione, di affrontare questa questione».
Lo stesso segretario della Cgil ha affermato che «personalmente penso che sarebbe un fatto molto importante che le imprese tutte, non solo qualcuna come sta succedendo, assumessero l’onere del pagamento del tampone per tutti i lavoratori». Una linea moderata e aperta all’interlocuzione che è criticata dal sindacalismo di base e ha offerto l’occasione alla destra neofascista di promuovere, sabato 9 ottobre, l’assalto alla sede nazionale dello storico sindacato di sinistra. Un fatto che ha suscitato una forte solidarietà ma che la leader di Fratelli D’Italia, Giorgia Meloni, in risposta ad una prima relazione in Parlamento sull’evento della ministro dell’interno Luciana Lamorgese, ha definito come frutto indotto di una strategia della tensione, simile a quella che ha segnato cupamente gli anni ’70 del secolo scorso.
Sarà un banco di prova per la tenuta del Paese e non solo del governo la manifestazione nazionale antifascista convocata a Roma dalla Cgil per sabato 16 ottobre. All’indomani, cioè, dell’entrata in vigore del green pass e alla vigilia delle importanti elezioni comunali capitoline.