L’istante prima dell’ictus
In quell’ultimo scorcio di vita raggiunto dagli artigli dell’ictus, Felice pensò alle sue donne. Quali? Quante? Ne aveva perso il conto. Diciamo che cercò di ricordare colei che aveva sposato e quella che avrebbe voluto sposare. Più che libertino Felice era un dongiovanni, un tormentato della seduzione: la fedeltà esulava dai suoi interessi. Solo due volte aveva desiderato Virginia, nelle intenzioni almeno: dopo il matrimonio e nelle ultime settimane di vita.
Era napoletano, nel bene e nel male. Trascorsa una giovinezza frenetica, ricca di viaggi e scoperte aveva studiato da antropologo, ma che cosa poteva mai servirgli nella vita di tutti i giorni? Felice avvertì con una certa tristezza ma con altrettanta lucidità che per non soccombere a un infarto o a qualcosa del genere aveva bisogno di un punto di riferimento, di un’ancora, di una donna che fosse moglie, madre, amante e confessore. Insieme.
Forse pretendeva troppo. Nell’universo napoletano, in fondo tremendamente provinciale, una tale straordinaria personalità non era facile da trovare. Ritenne perciò opportuno cercarla in lidi sconosciuti. Scelse Virginia – breve fidanzamento, oh quanto breve! – perché sembrava riunire al suo sguardo innamorato le qualità desiderate: una bellezza slanciata e fine, capace e dolce, che veniva da Nord, d’Oltremanica. Faceva la hostess. Si sa di quanta esagerata reputazione godano quelle donne nell’immaginario dell’italico maschio: gambe affusolate, conoscenza delle lingue, capigliatura bionda, quello che manca alle bellezze nostrane.
Cercò di esserle fedele per qualche settimana appena. Fallì. Si scoprì debole: brillante in società e fragile nel privato. Cominciarono anni di inferno, di va e vieni: di lui, di lei, dei due pargoli che tennero in piedi un’unione altrimenti destinata a durare pochi scampoli di tempo. Virginia non ci stava – per cultura e carattere – a fare la mammà (con l’accento sulla a), chiusa in casa a tessere la tela, mentre il suo uomo correva dietro alla gonnella di turno. Non riusciva a tacere, non “abbozzava”, come si dice, ogni volta che trovava traccia dell’ennesima concorrente. Più volte cercò di farsi una nuova vita ma senza riuscirci, per via degli avvocati, della coscienza e dei bambini.
Felice arrivò a metterle le mani addosso. Le trasmise ogni sorta di malattie. o in un’uscita di gazzetta. Sii asciutto come Victoria».
Da Michele Zanzucchi, NIENTE E' VERO SENZA AMORE (Città Nuova, 2015)