L’ispettore che sfornava romanzi
Èmerito di alcune piccole editrici che vanno pubblicando suoi romanzi già noti o anche inediti (vedi box), se guadagna sempre più terreno in Italia la conoscenza e l’apprezzamento di Anthony Trollope, lo scrittore inglese che assieme a Charles Dickens e a William M. Thackeray viene annoverato tra i più significativi rappresentanti dell’età vittoriana in campo letterario. Se l’autore di David Copperfield è celebre per la sferza sociale e quello della Fiera delle vanità per l’ironia moralistica, Trollope, con i suoi racconti ambientati nella provincia e nella campagna inglesi, sembra documentare in maniera più sottile e aderente al reale dei suoi due colleghi la società anglosassone del XIX secolo, che per l’appunto era potentemente condizionata – anche in campo culturale – da un ristretto gruppo di proprietari terrieri. Trollope, che in gioventù conobbe la precarietà economica e l’emarginazione, era figlio d’arte (la madre scrisse romanzi di successo). Autore prolifico, produsse quarantasette titoli tra romanzi, biografie, libri di viaggio, raccolte di novelle e una Autobiografia postuma del massimo interesse anche per la luce che getta sul mondo letterario del suo tempo. Fu infatti amico dei maggiori autori anglosassoni contemporanei, ammirato anche da Tolstoj. La sua vasta produzione narrativa è in parte riunita nel ciclo del Barsetshire, magistrale affresco della vita di alcuni proprietari terrieri e della Chiesa d’Inghilterra nella immaginaria contea di Barset; e nel ciclo dei Palliser, movimentato dalle vicende di una famiglia aristocratica e in particolare del suo membro più autorevole, diventato primo ministro. Eppure la sua vera professione era un’altra: fece carriera nel servizio postale, giungendo a ricoprire un posto di rilievo come ispettore (a lui si deve, fra l’altro, l’introduzione in tutto il Regno Unito delle pillar box, le cassette per imbucare le lettere dal caratteristico color rosso). Come Trollope poté conciliare due attività tanti diverse? Dedicandosi alla scrittura nelle ore libere dall’ufficio o durante i lunghi viaggi richiesti dal suo lavoro. Sembra anzi che dalle lettere smarrite attingesse non pochi spunti per i propri racconti. A forza di scrivere, con tenacia, tremila parole al giorno, riuscì a sfornare romanzi fluviali nei quali vengono stigmatizzate l’ipocrisia e l’assenza di autentici valori morali della società vittoriana. Sono storie, le sue, senza un vero lieto fine, ma neppure tragico; con personaggi antieroi rappresentati nei loro pregi e difetti, grazie ad una profonda comprensione della natura umana che lo rende indulgente anche verso quelli meno simpatici: è il caso dell’arcidiacono Grantly de L’amministratore, circa il quale lo scrittore si premura di avvisare i lettori: Temiamo che queste pagine lo abbiano rappresentato peggiore di quale sia veramente, ma abbiamo avuto a che fare con il lato debole dell’uomo e non con le sue virtù… e ci è mancata l’opportunità di presentarlo nel suo aspetto più valido. E a proposito di personaggi (memorabili soprattutto quelli femminili per lo scavo psicologico) e del rapporto strettissimo che un romanziere deve avere con i propri, Trollope scrive nella sua Autobiografia: Essi devono stare con lui quando si corica per dormire e quando si sveglia dopo aver sognato. Con i mezzi più semplici, riscatta il quotidiano dalla sua banalità, facendone riscoprire la dimenticata poesia, e riesce a scovare l’elemento drammatico di casi umani che un occhio superficiale giudicherebbe insignificanti: è il motivo per cui il lettore, nonostante la scrittura dimessa e il ritmo lento, finisce immancabilmente per esserne sedotto. Lo scrittore Henry James, che pure rimproverava a Trollope le lunghe digressioni e l’abitudine di rivolgersi ai suoi lettori in prima persona, nondimeno afferma: Il suo più grande ed incontestabile merito è la sua totale comprensione dell’usuale… Egli riusciva a sentire tutte le cose del quotidiano oltre che vederle. Le sentiva in un modo semplice, salutare, diretto, nella loro tristezza, nella loro letizia, nel loro fascino come nel loro aspetto comico ed in tutti i significati ovvi e ragionevoli. LE ULTIME EDIZIONI La casetta ad Allington (Sellerio, pp. 780, euro 16,50). Quinto titolo del ciclo del Barsetshire (dopo L’amministratore, Le torri di Barchester, Il dottor Thorne e La canonica di Framley, sempre editi da Sellerio, che di Trollope ha pubblicato anche Orley Farm e Lady Anna), è quello dedicato alle frustrazioni amorose delle sorelle Bell & Co. All’intreccio principale si affiancano le storie parallele di altrettanti amori travolti dalla sorte, dalla precarietà e dalla miseria. Troppo tardi per amare (Marlin, pp. 260, euro 12,90) apparso postumo nel 1884, e in prima traduzione italiana, narra l’amore impossibile di un cinquantenne scapolo benestante per la giovane figlia di un amico defunto, da lui accolta nella propria casa. Questo romanzo insolitamente breve è adattissimo per un primo approccio con l’autore, in attesa di affrontare sue più ponderose opere.