L’isola di San Pietro
«C’è un isola verde e lontana» è l’incipit di una canzone che a Carloforte (Sardegna sudovest) si canta o meglio si cantava nelle serenate per le vie del centro abitato, nelle calde serate estive.
Colonia ligure in terra di Sardegna, U Paise, come i nativi chiamano Carloforte, ha poco meno di 300 anni di storia. Fu, infatti, fondata nel 1738 da genovesi provenienti da Tabarka, isolotto della costa tunisina, dove a metà del XVI secolo una colonia di pescatori pegliesi, zona ovest del capoluogo ligure, venne autorizzata a pescare il corallo e gestire traffici commerciali nel Mediterraneo occidentale.
Nel giro di breve tempo i banchi di corallo si esaurirono, i traffici divennero meno redditizi e il Bay di Tunisi sempre più esigente, tanto che il maggiorente dell’Isola, Agostino Tagliafico, chiese a Carlo Emmanuele III, re di Savoia, di poter colonizzare San Pietro, la seconda isola per grandezza dell’arcipelago sulcitano.
Fino ad allora disabitata, sull’Accipitrum Insula (l’isola degli sparvieri), come la definivano i romani, con il grande lavoro e la tenacia dei liguri, venne su un primo nucleo di abitazioni, e pian piano le case che oggi, a dispetto della localizzazione sarda, ricordano più i borghi marinari della Liguria, come Portofino o Lerici.
Popolato da poco più di seimila abitanti, su 50 kmq di superficie, Carloforte è inserito nell’elenco dei borghi più belli d’Italia. L’altezza massima è rappresentata da una collina di 211 metri, chiamata Guardia dei Mori a ricordo delle scorribande dei saraceni che hanno caratterizzato le vicissitudini dell’isola.
Schiavi in Tunisia
Dopo poco più di mezzo secolo dalla colonizzazione, Carloforte visse uno degli ultimi episodi di schiavitù dell’era moderna. Era il 1798 quando quasi mille carlofortini vennero catturati nel corso di una incursione piratesca: circa 500 corsari capeggiati dal rais Mohamed Rumeli misero a ferro e fuoco Carloforte, facendo 933 prigionieri che, deportati in terra d'Africa, vissero in schiavitù per ben cinque anni. Nel corso di quegli anni si susseguirono le iniziative per la liberazione che avvenne nel 1803 quando, con il pagamento di un cospicuo riscatto, i carolini fecero ritorno sull’isola: con loro portarono il simulacro della “Madonna dello Schiavo” che il viceparroco Nicolò Segni (u previn, cioè il piccolo prete), anch’egli schiavo ma volontario per assistere la sua gente, volle con sé, dopo il ritrovamento da parte dello schiavo Nicola Moretto. In ricordo, in via XX Settembre, un piccolo oratorio ospita la statua della Madonna e gli ex-voto.
Qui si parla il ligure
Salendo sul traghetto, l’impatto è particolare. Dalle consuete vocali chiuse e parole che hanno la esse finale tipiche della lingua sarda, si passa all’antico genovese, con commistioni di napoletano e sardo, che danno vita al tabarkino, il dialetto di Carloforte. La genovesità dell’isola di San Pietro è uno dei migliori frutti dell’isolamento, rotto forse solo dalle corse dei traghetti. Tutto qui parla di Liguria: i nomi delle strade, chiamate “carruggi”, la cucina dove il pesto, insieme al pesce, predomina su tutto, senza dimenticare a fainò (la farinata), una sorta di focaccia sottile, fatta con la farina di ceci, tipica della Liguria; e le gallette, focacce non lievitate che ben conservate venivano utilizzate dai marinai che per giorni lontani da casa non potevano avere il pane. C’è poi la commistione araba, u cashcà, la variante tabarkina del cuscus fatto con verdure e carne lesse.
La pesca del tonno rosso
Parlando di Carloforte, non si può non fare riferimento al tonno, in particolare a quello rosso, il più pregiato. Le tonnare stanziali, quelle che già i fenici disponevano ogni anno al passaggio dei grandi pesci pelagici, sono oggi in seria difficoltà, perché, per uno strano meccanismo, le quote assegnate loro sono inferiori a quelle mobili, queste ultime altamente distruttive per la popolazione dei tonni. Così una tradizione millenaria rischia di scomparire. Le due società operanti nel Sulcis, nell’ultimo biennio, hanno catturato i tonni portandoli però a “ingrassare” in grosse gabbie a Malta, dove i compratori esteri, per lo più giapponesi, hanno pagato a peso d’oro il tonno venduto quasi fresco nel Sol Levante. Senza però un serio intervento politico, una tradizione e un’attività millenaria rischiano di scomparire, nonostante l’impegno del comune nel realizzare da dieci anni il Girotonno, manifestazione gastronomico-culturale con al centro il tonno in tutte le sue varianti.
Bastimenti carichi di minerali
Fino alla prima metà del XX secolo Carloforte era importante porto commerciale, da cui partivano i bastimenti carichi di minerali del Sulcis esportati in tutto il mondo. Pur non avendo un’attività estrattiva fiorente, se si eccettua la miniera del Becco, Carloforte è stato per decenni uno dei punti nevralgici del traffico di minerali del Mediterraneo. Accanto ai corallari, che fino ad alcuni decenni fa operavano sull’isola, oggi i pochi pescatori rimasti continuano a perpetuare quella che è una tradizione secolare per Carloforte.
Molti giovani, lasciati i genitori sulle barche da pesca, sono diventati ufficiali della Marina mercantile, dopo aver studiato in uno degli istituti nautici tra i più prestigiosi d’Italia, che da oltre mezzo secolo sforna capitani di macchina e di coperta. Il polo industriale del Sulcis, quello che di recente è balzato alla cronaca, si trova di fronte a Carloforte: avrebbe dovuto rappresentare un futuro anche per i tabarkini, rischia invece di diventarne il passato.
Il Capo più a ovest d’Italia
Situato ad ovest di San Pietro, Capo Sandalo è il primo faro italiano che si scorge giungendo da Gibilterra. Oggi completamente automatizzato, fino a qualche decennio fa ospitava i guardiani del faro e le loro famiglie. Prima della costruzione della strada provinciale e dell’avvento dell’elettricità, i rifornimenti di viveri e carbone per l’illuminazione giungevano via mare: poi a spalla trasportati su una tortuosa stradina che dalla scogliera sale fino al faro. Oggi l’edificio è in fase di ristrutturazione ma la suggestione che la torre di 30 metri incute a chi l’ammira dal piazzale è sempre quella di Gita al faro di Virginia Woolf.
Natura incontaminata
Contraddistingue l’isola, ovviamente, il mare blu profondo, con coste alte a falesia, dove nidifica il falco della regina, splendido rapace che ha dato il nome all’isola, secondo la denominazione dei romani. Solo sulla costa orientale, dove sorge il paese, si trovano piccole cale di sabbia, insenature che ricordano più i tropici che le grandi riviere della penisola.
Il patrimonio di specie autoctone è di inestimabile valore e, grazie all’oasi della Lipu, da alcuni decenni migliaia di visitatori possono ammirare i voli dei falchi, mentre nella laguna a ridosso del centro abitato, dove un tempo funzionavano le saline, i fenicotteri rosa, i cavalieri d’Italia, sono oramai stanziali. Una grotta, detta del Bue Marino, ricorda come anche Carloforte ospitasse la foca monaca, scomparsa oramai dal Mediterraneo occidentale.
Vivi sentimenti religiosi
Carloforte ha nella Madonna dello Schiavo uno dei riferimenti forti della fede (diverse ragazze portano il nome di Schiavina in suo onore). Il nome della Vergine è noto a chiunque abbia fatto tappa sull’isola, ma soprattutto alle migliaia di tabarkini sparsi per il mondo. Chi può il 15 novembre torna a Carloforte, dove, la sera, una suggestiva processione porta per le strade del centro il simulacro dal volto nero. Anche a Cagliari per i non residenti sull’isola viene celebrata una messa, con la Basilica di Bonaria sempre stracolma. Altro momento significativo è la festa di San Pietro con la processione in mare del santo e la presenza dei “Cristi” liguri, imponenti crocifissi che giungono per l’occasione da uno dei centri della Liguria, a suggellare il legame con Carloforte, tra l’altro comune onorario della provincia di Genova.
Le tradizioni del folk
Niente muttetos, né goccius, né canto a tenore. Nulla di tutto ciò che caratterizza la tradizione musicale sarda si trova a Carloforte. Spazio invece alle romanze popolari, ai menestrelli con tanto di mandolino e ai canti tipici della Genova antica, quella dei Trilli ma anche quella di de Andrè, nel nome del quale ogni anno si celebra il festival Crueza de ma, dove autori di film e di colonne sonore si ritrovano su “L’isola di un’isola di una penisola”, per parafrasare un altro festival che si svolge a settembre a Carloforte. I costumi tipici ricordano più la tradizione partenopea che quella sarda: niente stoffa di orbace ma colori accesi e vivi per il costume femminile, mentre per quello maschile copricapo tipico della tradizione marinaresca della costa azzurra. Anche qui si capisce che Carloforte ha poco di sardo.