L’Islam ha fatto l’Europa o no?
Non è un dibattito di poco conto, perché è un dibattito che attraversa tutto il mondo mediatico-intellettuale un po’ in tutt’Europa. Non è una capziosa discussione tra professori che cercano di trovare i “modelli” adatti a interpretare la realtà, ma un dialogo sulla concretezza di un continente che si confronta con un ben stagliato “mondo arabo-musulmano” da una posizione di debolezza “post-giudeo-cristiana”. Una questione di rapporto tra identità insomma.
Roberto Esposito e Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della sera, con un paio di articoli (10 aprile e 14 maggio) hanno voluto affermare che l’Europa ha radici soprattutto giudeo-greco-cristiane, ma fondamentalmente non islamiche. Il contributo dell’Islam non viene negato dagli autori, soprattutto nel campo scientifico ed artistico, ma con un distinguo preciso: «Il principio della coesistenza dei distinti è il significato stesso della Trinità cristiana, di cui nel pensiero coranico non è traccia». Caterina Resta, filosofa all’Università di Messina, contesta stamani questa tesi, sempre sul Corsera: «Non menzionarle (le radici islamiche, ndr) assume il carattere di una scelta politica intenzionale che trovo particolarmente arrischiata. Il pericolo (…) è lo “scontro di civiltà”, esattamente quello che persegue il fondamentalismo islamico».
Un dibattito dunque centrale per chi si occupa di dialogo interculturale e interreligioso, ma anche per tutti i cittadini mediterranei. Come prendere posizione? Non credo che si possa ragionare solo “in teoria”: l’Islam ha contribuito alla costituzione dell’Europa, anche se “in ritardo” rispetto ad altre radici (anche celtiche, anche “barbare” e non solo giudeo-cristiane!). “In pratica” i musulmani fanno parte del patrimonio europeo, continente “plurale” per eccellenza, da sempre. Basta conoscere un po’ il Mediterraneo europeo per ammettere che certa Spagna, certa Francia, certa Italia, certi Balcani non possono nemmeno essere presi in conto senza la componente islamica. La visione di Della Loggia-Esposito sembra piuttosto osservare la costa europea settentrionale, quella del Mare del Nord, dove certamente la componente islamica è meno forte e soprattutto più recente, oltre che geograficamente più lontana.
Il Mediterraneo non può essere espulso dall’Europa, anzi costituisce una parte fondamentale della sua identità. Certo, il periodo illuminista ha allontanato le due sponde, ma non le ha separate definitivamente, anche perché certe componenti illuministe sono “passate” anche a Sud. Casomai i Lumi hanno creato un’ulteriore distinzione in Europa tra “credenti” e “non credenti”: con che legittimità, allora, oggi non pochi intellettuali “non credenti”, né ebrei né cristiani quindi, possono usare la distinzione “religiosa” affermando che i musulmani non fanno parte del patrimonio europeo che sarebbe al contrario solo ebraico e cristiano? Il loro riferimento a queste due religioni sarebbe allora solo basato su una lettura “culturale” della religione. Cercare di espellere surrettiziamente la componente musulmana dalle radici europee rischia così di posizionare questi intellettuali proprio in quell’ambito religioso in cui non si riconoscono, creando nei fatti quei blocchi contrapposti “giudeo-cristiano” e “musulmano” (una distinzione prettamente “religiosa” quindi) che sono preconizzati dai sostenitori della teoria dello “scontro di civiltà”.
Ciò non vuol dire rifiutare l’esistenza di una componente “giudeo-cristiana” nelle radici dell’Europa. Tutt’altro. Perché il cristianesimo è la religione della congiunzione “e”, non della “o”.