L’Isis non è islam, ma un’altra religione
Dal 10 giugno 2014, quando dopo tre giorni di battaglia, le forze dell’ISIS hanno conquistato Mosul, la seconda città dell’Iraq, il mondo ha cominciato a rendersi conto di questa realtà fino ad allora praticamente sconosciuta all’opinione pubblica, soprattutto in occidente. Di fronte alle forze del Daesh (acronimo arabo per al-dawla al-islâmiyya fi I-‘Irâq wa I-shâm – Stato Islamico di Iraq e Siria) si è scatenata e perdura una vera ondata di paura, a volte di paranoia collettiva, provocata da alcuni elementi nuovi e, per certi versi, inattesi e da una campagna mediatica costante. L’argomento Isis resta, tuttora, una questione aperta e tutt’altro che di facile lettura. Ma è bene offrire almeno alcune piste che permettano un approccio più sereno e meno soggetto a manipolazioni da ambo le parti.
I fatti che hanno presentato ufficialmente questa realtà al mondo sono noti. Innanzi tutto, c’è stata la facilità dell’avanzata del Daesh di fronte alla quale le truppe dell’esercito regolare iracheno si sono sciolte come neve al sole, con fuga da parte degli ufficiali e abbandono di armi e uniformi da parte di migliaia di soldati. Poi, dopo venti giorni Abu Bakr al-Baghdadi – presentatosi come il legittimo successore del Profeta con la scelta di un nome che vuole confermare la sua discendenza diretta dalla famiglia di Maometto, resa anche visibile dal turbante nero indossato dai sayyid – è uscito con un proclama mirato a rammentare alla ummah (la comunità dei fedeli musulmani) che “il mondo oggi è diviso in due campi, quello dell’Islam e della fede, da una parte, e quello dei kufr (infedeltà) e dell’ipocrisia, dall’altra”.
Al-Baghadi ha invitato i “musulmani, dovunque si trovino, ad alzare finalmente la testa perché ormai hanno uno stato, un califfato”, che vuole restituire loro dignità, potere, diritti e leadership. Ancora qualche giorno e sono cominciate le immagini raccapriccianti della decapitazione degli ostaggi occidentali (americani ed inglesi), in mezzo a quelle, mai mostrate, di centinaia di musulmani ugualmente trucidati, o perché sciiti o perché non pronti a sottomettersi al nuovo califfo. In contemporanea c'è stato l’esodo biblico di cristiani e yazidi dalle vallate dell’Iraq perché, come aveva detto il portavoce dell’ISIS, Abu Muhammad al-‘Adnani, “con la costituzione del califfato tutti i non-Musulmani dovranno giurare fedeltà al califfo Ibrahim.”
Come accennato, resta problematico leggere quanto stia veramente accadendo al di là dei fatti agghiaccianti che sono fissati nella memoria del mondo. Senza dubbio, il fenomeno ISIS parte da lontano: dalla formazione, circa dieci anni fa, di gruppi di al-Qaida in Iraq (AQI), dalla guerra in Siria e, ancor prima, dai rapporti con il filone iniziale e tradizionale di al-Qaida, che l’occidente credeva sconfitta con la morte di Bin Laden.
È un fenomeno che passa, poi, dalla crisi che ha attraversato l’Iraq negli ultimi anni, soprattutto dopo il ritiro delle ultime truppe americane, favorito da strategie nascoste che già da tempo miravano a dividere il Paese in tre Stati, uno a maggioranza sunnita, un secondo sciita ed uno curdo. Non si può ignorare che soprattutto la situazione siriana abbia offerto l’humus ideale per la crescita ed il rafforzarsi di Daesh. L’occidente vede nell’ISIS la minaccia dell’Islam che avanza pericolosamente, ma, come fa osservare il professore Jean Pierre Filiu, in una intervista alla rivista Oasis, “quello che sta succedendo in Iraq non ha niente a che vedere con l’Islam, […] si tratta di un’altra religione. Le persone entrano a far parte dei ranghi di Daesh come se si convertissero a una religione, sia perché non ne avevano una propria in precedenza, sia perché, provenendo da una famiglia musulmana, abbandonano l’Islam dei loro genitori, famiglie, culture per volgersi a un presunto “vero Islam” che in realtà è una nuova religione. […] Daesh attrae una frangia che è già radicale. Non ci si radicalizza per mezzo di Daesh, lo si è già in partenza. L’Islam è l’Islam. Daesh è un’altra cosa”.
(segue seconda parte)