L’Iran oltre Sakineh

Il mondo ha accolto con sollievo la sospensione della condanna alla lapidazione. Ma dietro a questo caso simbolo c'è un intero popolo. A colloquio con una donna iraniana.
sakineh

La notizia che tanti aspettavano è arrivata: la condanna a morte per lapidazione di Sakineh Ashtiani, accusata di adulterio, è stata sospesa. Rimane ancora l’imputazione per omicidio, che potrebbe comunque portare alla pena capitale, ma il pericolo più immediato è scongiurato.

 

Il caso ha risollevato la questione dei diritti umani in Iran, tasto dolente su cui diverse organizzazioni internazionali continuano a battere. Ma dietro a colei che è diventata l’emblema degli oppressi dal governo di Teheran c’è un mondo su cui si tace. Ce lo racconta una donna iraniana che abbiamo incontrato, di cui non facciamo il nome per evidenti ragioni. «Come mai il mondo non parla – si chiede – di tante altre persone, spesso profondamente credenti, in carcere o condannate a morte per motivi politici o per aver difeso i diritti umani?».

 

Un Iran che ha come capisaldi i giovani, le donne e molti leader religiosi. «Il 50 per cento degli iraniani – ci spiega – ha meno di 30 anni. E tra questi la parte del leone la fanno le donne, che costituiscono il 70 per cento degli studenti universitari e hanno una presenza molto forte in Parlamento». Anche nel mondo religioso ci sono da tempo fermenti di novità: «Lo stesso Ayatollah Montazeri, successore di Khomeini e considerato maestro della Sharia, è stato in prima linea sul fronte dei diritti umani, tanto che 25 anni fa ha lasciato il suo ruolo per difendere i prigionieri politici». Dietro a lui sono venuti tanti altri teologi, che sostengono la necessità di una riforma politico-religiosa e si oppongono a queste interpretazioni estreme della Sharia. «Il Corano – precisa la nostra interlocutrice – parla di una richiesta di mantenere l’unità familiare. La condanna per chi la rompe è morale, e vale tanto per l’uomo quanto per la donna. La lapidazione è lasciata alla decisione del giudice, ed è fortunatamente un caso rarissimo. Molti teologi sono contrari, tanto che è vietata in buona parte dei Paesi musulmani». Peraltro, arrivare ad una condanna per adulterio secondo la Sharia non è facile: occorre la testimonianza di almeno quattro persone, che abbiano visto l’uomo e la donna nell’atto fisico del rapporto. Se non riescono a dimostrarlo, vengono frustati essi stessi per aver testimoniato il falso. Nel caso di Sakineh, la sentenza si è basata su una confessione data sotto tortura, «che è antireligiosa».

 

La nostra amica vede con favore la mobilitazione internazionale per Sakineh, ma punta il dito contro le strumentalizzazioni: «Se ne è parlato tanto perché quello dell’adulterio è un tema sensibile per il mondo occidentale, e anche in Iran non è più percepito come crimine dalla maggior parte della popolazione. Ma ci sono tante altre donne coraggiose di cui bisognerebbe far conoscere la storia. Stiamo attenti a non trasformare tutto in un attacco all’islam, che ha indubbiamente bisogno di rinnovarsi e riformarsi, ma resta una religione di pace».

 

A questo proposito, la donna traccia una distinzione tra il popolo iraniano, «che un sociologo ha definito “il più laico del mondo musulmano”», e un governo che invece vuole porsi come «il più islamico del mondo». Un popolo tollerante, che insieme a molti leader religiosi ha dato vita «ad un laboratorio molto interessante all’interno del mondo musulmano», e che davanti ad un governo militare «non aspetta aiuti dall’esterno ma vuole farcela da solo, anche in nome dei valori religiosi che sente propri».

 

A conclusione della chiacchierata, la nostra interlocutrice esprime la perplessità che finora era solo aleggiata nella conversazione: «La verità è che l’Iran è un Paese ricco di petrolio e gas. Un boccone troppo grande sia per chi ci ci sta dentro che per chi ci sta fuori. Se il mondo parla di Sakineh fa bene, ma temo che il suo caso venga strumentalizzato per questioni politiche».

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