L’intramontabile fascino dei cinque cerchi
I Giochi invernali hanno regalato due settimane di grande sport e storie di atleti davvero speciali.
È stata l’Olimpiade delle folli condizioni atmosferiche. Un’aria primaverile atipica per la zona di Whistler Mountain che in febbraio, solitamente, fa registrare temperature tra i 10 e i 20 gradi sottozero. È stata l’Olimpiade dei molti problemi tecnici. Dalle interruzioni delle gare di pattinaggio per guasti alle macchine di rifacimento del ghiaccio, alle partenze sbagliate nel biathlon.
Ma è stata soprattutto un’Olimpiade tristemente segnata dalla tragedia che ha portato alla morte del giovane Nodar Kumaritashvili. Certo, negli sport invernali il rischio di qualche incidente fa parte del gioco (sulle 15 discipline in programma a Vancouver 10 prevedevano l’utilizzo del casco). Ma non si può morire facendo dello sport. E quello che si è visto in Canada è andato oltre il limite accettabile. Percorsi di fondo non adeguatamente protetti, gare di sci, snowboard, bob o slittino disputate su piste talmente difficili che hanno inevitabilmente provocato cadute e infortuni in serie. La speranza è che adesso, anche se in colpevole ritardo, chi di dovere abbia finalmente capito che niente può passare avanti alla sicurezza degli atleti.
Dal punto di vista strettamente agonistico va segnalato il grande successo di Stati Uniti, Germania, Norvegia e Canada, a cui ha fatto da contraltare il parziale fallimento della Russia. Un campanello d’allarme che è diventato un piccolo caso nazionale in vista dei prossimi Giochi casalinghi di Soci 2014 (i responsabili dello sport dovranno ora rendere conto del flop olimpico addirittura in parlamento!).
Anche sul fronte azzurro ci si aspettava qualcosa di più. Certo, alcune medaglie sono sfumate per un nonnulla, ma la verità è che in questi Giochi abbiamo assistito a un cambio generazionale con alcuni big come Armin Zoeggler o Pietro Piller Cottrer pronti a passare il testimone a giovani di valore come Arianna Fontana o Alessandro Pittin.
Vancouver 2010 ha poi confermato la tradizione di incertezza che spesso accompagna la disputa delle gare olimpiche. Così, si è potuto assistere alle performance di veri fuoriclasse degli sport invernali. Come quelle dello svizzero Simon Ammann, due ori individuali nel salto dal trampolino. Come quelle della fondista norvegese Marit Bjorgen, o di due ragazzi statunitensi (Shaun White nello snowboard, e Apolo Anton Ohno nello short-track) divenuti ormai con le loro prodezze vere icone universali delle rispettive discipline.
Ma, allo stesso tempo, si è potuto assistere anche alle vittorie di veri e propri outsider. Basti pensare alla biathleta slovacca Anastasjia Kuzmina, al primo successo della carriera giunto proprio nell’occasione più importante.
Già, quante storie speciali regala una Olimpiade. Tanti atleti hanno vinto la medaglia d’oro, assicurandosi con essa un pezzetto di gloria sportiva. E alcuni di loro si sono dimostrati prima di tutto campioni fuori dal campo di gara. Come ad esempio Magdalena Neuner, la ventitreenne poliziotta tedesca che è forse la sportiva più amata di Germania.
Magdalena è una bellissima ragazza (ha rifiutato un mucchio di euro che le avevano offerto per posare sulla copertina di Playboy!), che ama l’arpa e l’uncinetto e che nel biathlon è una vera e propria star. A Vancouver, dopo aver vinto due ori e un argento nelle prove individuali, era l’atleta che sulla carta avrebbe dovuto trascinare la staffetta femminile tedesca verso la conquista di una medaglia. Ma lei, sorprendendo un po’ tutti, ha deciso di non gareggiare. «Io da queste Olimpiadi ho già ottenuto tantissimo mentre le mie compagne di squadra non sono ancora salite sul podio. Sono delle grandi atlete e preferisco lasciare a tutte loro una chance di vincere una medaglia». Forse con Magdalena in gara la Germania avrebbe potuto far meglio del terzo posto finale, ma con la sua rinuncia la Neuner ha permesso a un’altra compagna di conquistare una medaglia.
Verrebbe quindi da chiedersi: ma allora lo spirito olimpico esiste davvero? Provate a chiederlo a Haralds Silovs, ventitreenne lettone che in Canada si è reso protagonista di un’impresa senza precedenti. In un solo giorno ha gareggiato in due sport diversi. Nel primo pomeriggio è giunto ventesimo nei 5 mila metri di pattinaggio velocità. Poi, nonostante la fatica che richiede una competizione del genere, si è trasferito in un altro impianto e, a meno di quattro ore dal precedente impegno, ha ottenuto un lusinghiero undicesimo posto nei 1.500 metri di short track.
O chiedetelo a Kristie Moore, trentenne canadese giocatrice di curling, che è scesa in pista addirittura al quinto mese di gravidanza!
E cos’altro è se non spirito olimpico quello che ha spronato l’impresa di Petra Majdic? Pur essendo da anni una delle migliori fondiste del mondo, la trentenne slovena non aveva mai vinto una medaglia a cinque cerchi. Nella fase di riscaldamento della prova sprint Petra, dopo un volo di tre metri, è uscita di pista cadendo in un fossato che l’organizzazione aveva dimenticato di proteggere. Gli accertamenti dopo la gara stabiliranno che nell’impatto si è rotta quattro costole e ha perforato un polmone, ma lei non si è voluta arrendere al fortissimo dolore e ha voluto gareggiare ugualmente. Alla fine, stremata, è svenuta sul traguardo, non prima di essere però riuscita a coronare il sogno inseguito da una vita, la conquista di una medaglia olimpica (bronzo).
Petra alla fine ce l’ha fatta. Tanti altri hanno sciato o pattinato accarezzando il sogno di poter vincere una medaglia. Non ce l’hanno fatta, ma sono stati contenti lo stesso. Perché a volte partecipare ai Giochi vale come una vittoria.
Sandell, promettente sciatore finlandese, a fine settembre si è infortunato gravemente durante un allenamento. Portato d’urgenza in ospedale gli sono state diagnosticate lesioni alla milza, fratture alle mani e al naso, ed è stato necessario asportargli il rene sinistro. Si pensava che questo incidente potesse rappresentare la fine della sua carriera agonistica. Ma nessuno aveva fatto i conti con la sua tenacia e con il desiderio di bruciare le tappe del recupero pur di non mancare alla festa a cinque cerchi. Storie così succedono solo alle Olimpiadi.