L’intimità di Dio

 «Non vi chiamo più servi, ma amici». Gesù, prima della passione vuole stare con i suoi compagni e aprirgli il cuore.
Fiore

Alla vigilia della sua Passione, Gesù vuole passare un momento di intimità unica con i suoi compagni. Vuole “stare” con loro, guardarli negli occhi, aprire loro il suo cuore. A loro aveva rivelato cose che non diceva al popolo, ma qui – dice – «tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Ib.).
 
Ma è un’intimità che va al di là di lui e degli apostoli: li introduce nel Padre. È venuto per questo, per realizzare l’uomo oltre la sua dimensione, per farlo sfociare nel mare di Dio. Per questo prega, prende i discepoli nelle sue mani («io li custodivo nel tuo nome», Gv 17,12) e li tuffa dentro la Trinità. Non può essere frutto di un’azione, ma è solo un dono generato dalla preghiera: avviene tra il Figlio e il Padre e trasborda sui discepoli. L’intimità è ciò che avviene in Dio, che si spalanca e abbraccia l’uomo: «Che tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te» (Giov. 17, 21).
 
I discepoli devono solo accogliere il dono: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Non fare, ma lasciare che lui faccia in loro, che continui in loro e tra loro. Ma c’è il culmine dell’intimità: «Prendete e mangiate. […] Prendete e bevete». È l’identificazione, la trasformazione in lui: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6,56). È l’amore che si annulla, perché l’altro esista. Gesù lo compie, perché anche noi facciamo altrettanto. L’Eucaristia è una moltiplicazione di amore, per invadere la terra.
       
       
 

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