L’interesse di Bergoglio per il piccolo

Consueta conferenza stampa di Francesco nel ritorno dal suo 31°periplo, questa volta in Africa e nell’Oceano indiano. La sua logica spiazza i giornalisti
EPA/Alessandra Tarantino / POOL

La conversazione informale del papa coi giornalisti ammessi al volo papale, anzi ai cinque voli di questo periplo, è per lui un’occasione per tirare le fila di un viaggio che, unendo Mozambico, Madagascar e Isole Mauritius, ha permesso di svelare criticità e chance di popoli e nazioni alle periferie del mondo.

I giornalisti presenti, soprattutto lavoratori dei grandi network mondiali, faticano però a trovare notizie accettabili dai loro direttori, sempre alla ricerca di scoop e di espressioni che escano dal seminato. Il papa, testardamente mette invece l’accento sulle tanto amate periferie, privilegiando le risposte alle domande legate al viaggio rispetto ad altre legate all’attualità dei nostri Paesi occidentali. Credo che il papa di proposito eviti argomenti che, pur indubbiamente interessanti, avrebbero portato l’attenzione altrove. Come se volesse continuare almeno per qualche ora a tenere accesi i riflettori su Madagascar, Mozambico e Mauritius, fari destinati a spegnersi implacabili nello spazio di qualche istante. Questa, che lo si voglia o no, è la logica di Bergoglio. A lui interessa il popolo, la gente, la realtà, non le ricostruzioni di complotti o machiavellismi o curialismi.

 Così, rispondendo a un giornalista mozambicano che lo interroga sul processo di pace a Maputo, dice chiaramente che bisogna proseguire negli sforzi volti alla pace, «perché tutto si perde con la guerra, tutto si guadagna con la pace». Ricorda il lungo processo che «ha avuto una prima tappa, poi una caduta, poi un’altra, con lo sforzo dei capi di partiti contrari, per non dire nemici, di andarsi a trovare l’un con l’altro, uno sforzo talvolta pericoloso, rischiavano la vita. Ma alla fine ci sono arrivati».

Ringrazia tutti coloro che hanno aiutato in tale processo, a cominciare dalla Comunità di Sant’Egidio, ma non fermandosi ad essa. E mette in guardia contro i facili ottimismi: «Non dobbiamo essere trionfalisti. Il trionfo è la pace, non abbiamo diritto a essere trionfalisti perché essa è ancora fragile» e va trattata «con molta tenerezza, delicatezza, perdono, pazienza, per farla crescere e irrobustirla».

 Rispondendo a un’altra domanda dello stesso giornalista affronta poi il problema della natalità: «L’Africa è un continente giovane, ha vita giovane. La madre Europa è quasi diventata nonna Europa. Stiamo vivendo un inverno demografico gravissimo». Ed esprime la sua opinione personale: «Penso che il benessere sia la radice di questo inverno: “Io non faccio figli perché devo comprare la villa, fare turismo, un figlio è un rischio, non si sa mai”. Il benessere ti porta a invecchiare. Invece l’Africa è vita». E ricorda, quasi commosso, il gesto visto innumerevoli volte in questo viaggio delle madri e dei padre che sollevano il loro piccolo come a dire che quello è il loro tesoro.

 Parla poi di xenofobia: «Non è un problema solo dell’Africa, è una malattia umana, come il morbillo, una malattia, entra in un Paese, entra in un continente e fa costruire muri; ma questi lasciano soli coloro che li fabbricano. Sì, lasciano fuori tanta gente, ma coloro che rimangono dentro rimarranno soli, e alla fine della storia saranno sconfitti dalle invasioni». E certamente ha in mente tanti precisi casi quando afferma: «Le xenofobie tante volte cavalcano I populismi politici. Alle volte sento discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel ’34».

 Sulla crisi della famiglia tradizionale e dei legami familiari, assai presente anche nei tre Paesi visitati, Bergoglio racconta un aneddoto: «A Mauritius, dopo la messa, ho visto un poliziotto grande e grosso che aveva in mano una bambina di due anni che si era persa e piangeva perché non trovava più i genitori». Quel poliziotto l’accarezzava in attesa che i genitori venissero a riprenderla: «Lì ho visto il dramma di tante bambini e giovani che perdono i legami familiari», accennando però anche allo Stato che deve assicurare politiche familiari adeguate.

 Con il giornalista delle Mauritius, a proposito della contesa delle isole Chagos, contese tra la Gran Bretagna e le stesse Mauritius, il papa ricorda l’importanza delle istituzioni internazionali cui «bisogna ubbidire». E poi fa un affondo sulla colonizzazione: «In Africa ci sono state tante liberazioni, dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dal Belgio, dall’Italia, nazioni che sono dovute andar via, ma sempre in tutti c’è la tentazione di portarsi qualcosa in tasca: sì, concedo la liberazione a un popolo, ma qualche briciola me la porto via, per esempio il sottosuolo rimane mio». E incatena su un altro dei suoi temi favoriti: «Se oggi non ci sono colonizzazioni geografiche, almeno non tante, ci sono colonizzazioni ideologiche che vogliono entrare nella cultura dei popoli e cambiarla quella e omogeneizzare l’umanità». E ripropone «l’immagine della globalizzazione come una sfera, tutti uguali, ogni punto equidistante dal centro, mentre la vera globalizzazione non è una sfera ma un poliedro, dove ogni popolo e nazione conserva la propria identità ma si unisce a tutta l’umanità».

 Prima di rispondere ad altre domande, il papa precisa ancora un ulteriore elemento che lo ha colpito nel viaggio a Mauritius in particolare, ma non solo: «La capacità di unità e di dialogo interreligioso. Non si cancella la differenza delle religioni ma si sottolinea che tutti siamo fratelli e tutti dobbiamo parlare. Questo è un segnale di maturità del Paese. La prima cosa che ho trovato ieri entrando in episcopio è un mazzo di fiori bellissimo. Chi lo aveva inviato? Il grande imam. Il rispetto religioso è importante. Per questo ai missionari dico di non fare proselitismo, pratica che vale per la politica o per lo sport, ma non per la fede. C’è una frase di San Francesco di Assisi che mi ha illuminato: “Portate il Vangelo e se fosse necessario anche con le parole”. Evangelizzare è testimoniare, è quella testimonianza che provoca la domanda: “Ma tu, perché vivi così?”. E lì spiego: per il Vangelo. L’annuncio viene dopo la testimonianza».

Bergoglio parla ancora di protezione della natura, tema trattato in tutte e tre le tappe del suo periplo: «C’è un sentimento collettivo incosciente che dice: “L’Africa va sfruttata”. Noi non pensiamo mai: “L’Europa va sfruttata”, e il punto più forte di questo sfruttamento, non solamente in Africa, è l’ambiente naturale».

Infine, un tema carissimo a Bergoglio, il popolo. «Nelle strade c’era il popolo. Autoconvocato. Alla Messa allo stadio sotto la pioggia c’era il popolo. E tutti danzavano ed erano felici. Volevano stare con il papa. Io mi sono sentito umiliato, piccolissimo, davanti a questa grandiosità della sovranità popolare. E qual è il segno che un gruppo di gente è popolo? La gioia. C’erano dei poveri, c’era gente che non aveva mangiato quel pomeriggio, per stare lì, ma erano gioiosi. Invece quando gruppi o persone si staccano dal senso popolare, perdono la gioia. Si tratta di uno dei primi segnali, la tristezza dei soli, la tristezza di coloro che hanno dimenticato le loro radici culturali. Avere coscienza di essere un popolo è avere coscienza di un’identità, di avere un modo di capire la realtà».

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