L’insidia della mafia in Trentino

"Cultura, intelligenza e gusto del bello": così si vince la mafia per Mons. Bregantini.  Nella scuola, tra i ragazzi, svuotandola dall'interno. La presentazione, a Trento, del libro Il nostro Sud  
Mons. Bregantini

Una coincidenza? I quotidiani di Trento, proprio quel sabato, titolavano così le prime pagine: «La ’ndranghetta in Trentino». Allarme e preoccupazione nel mondo imprenditoriale che lanciava l’allarme: «Non siamo più un’isola felice e chi è in difficoltà finisce nelle mani degli usurai».

 

Un brivido che sembrava attraversare anche i cittadini, molti dei quali ragazzi, che hanno gremito la bella Sala della Filarmonica di Trento per l’attesa presentazione del libro-intervista Il nostro Sud in un paese (reciprocamente) solidale di mons. Bregantini e Paolo Loriga, edito da Città Nuova. Un incontro a cui hanno partecipato i due autori, moderato dal presidente dell’Ordine dei giornalisti del Trentino Alto-Adige Fabrizio Franchi. Anche la città di Trento – nelle sue istituzioni –, si è fatta presente attraverso l’arcivescovo mons. Luigi Bressan e l’assessore alla cultura Lucia Maestri.

«No, il Trentino non è contagiato dalla mafia, ma ne è insidiato. E non bisogna sottovalutare il rischio» ha esordito mons. Bregantini rispondendo a una delle prime domande. Lui, originario della trentinissima Val di Non ma con radici nel profondo Sud, dov’è stato vescovo nella Locride, ha portato una parola impreziosita dalla sua personale esperienza: «La cultura positiva e cooperativistica del Trentino –  ha detto –, può respingere la realtà mafiosa».

 

Non si può però né estremizzare né generalizzare. «In Calabria – prosegue l’arcivescovo di Campobasso-Bojano –, abbiamo imparato che dire “tutto è mafia” porta al risultato opposto», ossia al "niente più è mafia". Però l’insidia c’è. Occorre essere vigili. Occorre parlare, bandire l’omertà, discutere, verificare. Per questo Bregantini ha parlato della necessità di un confronto fra società civile e le banche: «La mafia infatti è attratta da territori ricchi e, come nel caso del Trentino, appetibili; individuano aziende in difficoltà con bisogno di liquidità e il gioco è fatto». Ma mons. Bregantini non ha dubbi: ovunque la mafia può essere sconfitta. «Bisogna intervenire ai primi segnali per evitare che il male si diffonda – ha proseguito –. Senza paura, perché la mafia si nutre della nostra paura. Bisogna svuotarla dall’interno, non affrontarla di petto».

 

Un ragazzo, durante l’incontro, ha espresso la sua indignazione perché l’approfondimento della sua classe sulla mafia  era stato deriso dai compagni più grandi. «Ecco – ha detto Bregantini –, dove si vince la mafia: nella scuola, tra i ragazzi. La derisione, il dire “non serve a nulla” sono i veri guai: la mafia non si combatte con le sue armi, ma con quelle della cultura, dell’intelligenza e il gusto del bello».

 

Tanti sono stati i temi trattati, anche scomodi, il rapporto tra la chiesa ed il potere, la riforma federale, la politica, come andare controcorrente in una società dell’indifferenza. Un dialogo incalzante, arricchito dagli interrogativi schietti dei giovani. Il dialogo di un maestro in ascolto che con chiarezza disarmante su problemi molto vasti ha appassionato i presenti al fattore R: la reciprocità. Tre i passaggi per lui essenziali: la marginalità delle cose che non deve trasformarsi in emarginazione; la tipicità che porta a conoscere e appropriarsi della propria storia; infine la reciprocità che mette in relazione e sprona a guardare solidariamente l’altro. Tre passaggi tra loro collegati per costruire una società più equa, più secondo il pensiero di Gesù. E per Bregantini «il Sud difetta in tipicità e spesso si piange addosso, mentre il Nord difetta in reciprocità».

 

La sua appare una strategia, spiegata attraverso esperienze di vita e di incontri, con chiaro riferimento evangelico. Un richiamo forte agli interlocutori a sentirsi in prima persona cittadini responsabili ed attenti. «La mia  – dice –, non è una lotta contro la mafia o contro qualcuno, ma una lotta per la gente e per la speranza». E lo precisa con un’immagine. «Una collina che frana si argina prima di tutto con un forte muro alla base, ma non basta – ha concluso –. Sulla collina vanno poi piantati tanti alberelli che con le loro radici bloccano il terreno. Non bastano i preti anti-mafia, servono anche tante coscienze che piantino radici su quella collina».

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