Lino Guanciale, voce di un figlio verso un padre
«Oggi è il 15 Dicembre 1840, forse. Oggi da qualche parte, è morto un padre, forse. Oggi, da qualche parte, è morto Dio. Oggi, dopo vent’anni, seppelliamo Napoleone Bonaparte. Un imperatore. Un padre. Un Dio. Papà è morto». Con quest’incipit si apre il testo e lo spettacolo Napoleone. La morte di Dio con Lino Guanciale in scena che racconta, e incarna sdoppiando voce e posture, la figura di un figlio davanti alla perdita del padre, e quella di un giovane Victor Hugo che del suo breve testo I funerali di Napoleone – racconto sul ritorno in patria, nel 1840, delle spoglie di Napoleone, del sontuoso corteo funebre accompagnato da un bagno di folla – ne fa materia di cronaca e motivo di riflessione sulla fine umana del potere di fronte al tempo che scorre e alla morte.
A ispirare l’autore Davide Sacco – giovane drammaturgo la cui scrittura fa della parola un segno fisico che, scavando, sa unire cuore e mente – è stato il libricino del francese nel quale innesta il suo toccante testo intessendo un fatto storico e vicende di umana compassione. Quel dolore privato che è la morte di un padre, e che accomuna gli uomini, il vuoto che egli lascia, l’orfanezza che subentra mista a rimorsi, a cose non dette, a gesti non espressi, s’apre a dimensione universale ponendo domande, considerazioni, biasimi. Nell’intreccio di due piani temporali l’attore traccia un percorso parallelo tra la costruzione del dolore e chi lo prova realmente, tra la messa in scena del soffrire e chi soffre.
L’allestimento – regia di Sacco – rompe la trappola dell’intimismo mediante un’imponente scenografia con un’alta impalcatura di tubi innocenti, lampadari che scendono dall’alto, luci laterali e fari che verranno puntati in platea, e con la pregnante presenza silenziosa di due figure – i becchini scespiriani dell’Amleto? Due officianti? – che lentamente spargono terriccio per la tumulazione, e interagendo, a tratti, col protagonista. Della donna, Simona Boo, udremo anche la sua meravigliosa voce con la canzone di Modugno Cosa sono le nuvole, seguita dall’aria di Händel Lascia ch‘io pianga, e il motivo L’ombra della luce di Battiato, tutte parole che dicono sentimenti di amore e di dolore. Seduto su una lunga panca metallica – alzata diventerà monolite, tomba, altare? –, aggirandola, sostando ai lati o in piedi, guadagnando altri spazi, Guanciale tiene la scena con i tremori, la forza, l’urlo, lo schianto, la tenerezza, lo smarrimento dei moti dell’animo, in un lucido e vibrante equilibrio di espressioni vocali che solo il tonfo finale di una bara, improvvisamente caduta dall’altro, spegnerà, sentenziando la fine.
Dopo il debutto al Campania Teatro Festival, lo spettacolo sarà il 28 e 29 luglio al Teatro Romano di Verona, il 31 a Bassano del Grappa per il festival Opera Estate.