“L’Innocenza”, il mondo dei ragazzini
Genitori soli e troppo apprensivi o violenti, una preside che nasconde il dolore e i guai della scuola dentro un abisso di formalità, una scuola dove c’è il bullismo tra gli alunni della quinta elementare. E un giovane maestro accusato di essere violento con i bambini.
Ma le cose stanno davvero così? Non c’è magari qualcuno che dice bugie? Così la mamma vedova del sensibile Minato accusa il maestro senza pietà, il ragazzino si lega con un compagno di scuola che il padre vuole a forza di botte far diventare un uomo. E i due bambini in mezzo allo spionaggio dentro alla scuola, alle accuse all’insegnante, sono terribilmente soli. Non dicono le cose più belle e profonde nemmeno ai genitori.
Si rifugiano dentro una ferrovia abbandonata, sognano, giocano, scoprono l’amicizia con una semplicità e una purezza d’incanto. Il contesto sociale è invece ferreo, ha regole dure nei rapporti anche tra gli adulti, si dicono bugie terribili per salvare l’onore, l’apparenza. I bambini sono all’interno di questo sistema di inganni e di questi pregiudizi, ne soffrono, si chiudono, evadono in un mondo loro. Sono soli e l’amore della famiglia non riesce ad entrare completamente nel loro animo delicato, fragile ma che desidera essere vivo e libero.
Il film alterna scene di scontri drammatici tra i familiari e la scuola, tocchi meravigliosi di psicologia infantile, amicizia schietta dei due ragazzini – attori di una naturalezza unica ‒, che innocentemente desiderano esplorare la natura, viverla, e vivere liberi e gioiosi contro la durezza del sistema sociale. Lo capiranno gli adulti, lo capirà la preside in una sequenza tremenda, e lo capirà anche Minato: forse lui ha mentito?
Per scoprirlo, basta vedere questo lavoro raffinatissimo, contro la violenza e il non amore verso i bambini. Ma poetico, e vero, tipico del grande regista.
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