L’ineluttabile riordino delle Province

«Se da una parte dobbiamo abituarci alla non fissità di un territorio, dall'altra ci sono specificità che vanno tutelate», il vicecoordinatore nazionale dell'Anci, Antonio Triani, commenta il decreto-legge sull'accorpamento dei comuni
potenza

All’ordine del giorno ci sono sempre le notizie sulla spending review, la revisione della spesa che coinvolge tutti i ministeri e gli enti pubblici, tra cui le Province che, a seguito del decreto legge varato dal governo Monti, sono diventate oggetto di riordino. Il neopresidente dell’Upi, Antonio Saitta, spiega il ricorso al Tar da parte di tutte le Province come «decisione non più rinviabile, visto che i 500 milioni di tagli imposti alle Province con la spending review non sono sopportabili». Di questo e anche di “lucanità” si è parlato con Antonio Triani, vicecoordinatore nazionale della Conferenza dei Consigli comunali Anci, originario proprio di Potenza. Il presupposto da cui si è partiti è che questa riorganizzazione entra a pieno titolo all’interno di una serie di misure volte a un contenimento della spesa nazionale.
 
Dottor Triani, in qualità di coordinatore Anci e come cittadino, cosa pensa di questo decreto che di fatto taglia 35 enti e che ha attirato su di sé il malcontento dell’Upi, che lamenta un declassamento delle Province a un ruolo di serie B?
«Personalmente ritengo che si è proceduto in modo non sufficientemente ponderato, perché l’esperienza mi dice che comunque esiste la necessità di una funzione intermedia, che non può essere dunque stravolta senza tener conto dei bisogni dei territori. Ho anche molta perplessità per l’elezione degli organismi provinciali. Si va verso un’elezione indiretta, togliendo di fatto al cittadino la possibilità di esprimersi compiutamente. Credo altresì sbagliato che tutta questa operazione debba avvenire con un’accelerazione temporale, che non permette di portare a compimento i programmi già intrapresi in precedenza».

Quali sono secondo lei i maggiori motivi di sofferenza e quali i punti di forza, come pure i servizi potenziati e quelli che invece potrebbero risentirne?
«Un punto di forza è senza dubbio la riduzione della spesa, ma ciò avviene senza la dovuta salvaguardia delle esigenze di ciascuna compagine territoriale. Molti equilibri così verranno minati e si dovrà poi procedere con un riordino anche delle principali funzioni e organi amministrativi, che subirebbero variazioni da non sottovalutare».

Crede che questi provvedimenti, facenti parte di un quadro più ampio per la ripresa nazionale, possano essere visti dal Paese come un taglio irrimediabile nel proprio tessuto storico-nazionale?
«Se da una parte dobbiamo abituarci alla non fissità di un territorio, che può chiaramente essere interessato da modifiche, dall’altra ci sono specificità che credo vadano tutelate e mi riferisco all’ente intermedio tra Regione e Comuni, che può coincidere con la Provincia così come la conosciamo storicamente o con altro, purché non venga meno un anello di congiunzione imprescindibile».

Qual è la sua opinione dall’osservatorio privilegiato del suo incarico, circa la diatriba Potenza-Matera, in merito alla presunta sede unica in cui insediare la Provincia della Basilicata?
«Ritengo che a tal proposito, si debba far riferimento all’art. 17 comma 2 in materia di riassetto provinciale, articolo che fa salve le Province delle città capoluogo di Regione. Ciò detto, il problema succitato non si sarebbe dovuto porre, ma è accaduto che il Consiglio regionale abbia chiesto il mantenimento delle due Province, sconfinando appunto in una giurisprudenza non propria, che spetta ai vertici».

Sappiamo che la polemica creatasi a seguito di dichiarazioni da parte del ministro Patroni Griffi sulla riforma delle Province non si placa. Lo stesso ministro avrebbe apostrofato il sindaco di Potenza come “signor no”, come colui che non ha voluto avere accanto a Potenza capoluogo di Regione, Matera capoluogo di Provincia. Qual è il suo parere a riguardo?
«Credo di dover leggere queste azioni come una intromissione del ministro in qualcosa che, già di per sé, si inscrive in toni polemici accentuati, che così finiscono per essere esacerbati. È impensabile supporre che le disposizioni conseguenti ad una legge possano dipendere da un Consiglio comunale invece che dalla legislazione stessa. Non va dimenticato il nostro impegno per mantenere un’identità come quella materana, che rappresenta un polo turistico d’eccellenza, di cui caldeggiamo la nomina a Capitale europea della Cultura nel 2019».

Quale sarà a suo avviso la reazione della collettività? Quali le ricadute sociali oltre che meramente territoriali?
«La riorganizzazione non tiene conto, a mio avviso, di una conseguenza abbastanza pericolosa, e cioè che così Potenza diventa la Provincia più grande d’Italia con 550 mila abitanti su un territorio di 10 mila chilometri quadrati. Questo non fa che peggiorare gli annosi problemi che ci riguardano, quali il trasporto e la viabilità, perché si dovrà comunque consentire a una comunità tanto segmentata la possibilità di spostarsi per le esigenze più varie, dentro maglie territoriali tanto estese. Quanto alle reazioni della comunità materana, se da un lato sono facilmente comprensibili, dall’altro sono messe in atto con un’enfasi tale che non mi sento di condividere. Ritengo infatti inammissibile un’annessione di Matera alla Puglia, così come si è chiesto domenica 11 novembre nel corso di una manifestazione nella città dei Sassi».

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