L’Indonesia contro l’Isis e a favore della pace
Mentre a Parigi si incontravano i rappresentanti dei 25 Paesi – alcuni anche a maggioranza musulmana – per concordare le azioni militari contro l’Isis, il presidente uscente dell’Indonesia, il Paese con la più grande popolazione musulmana al mondo, condannava ancora una volta il terrorismo islamico. Susilo Bambang Yudhoyono, infatti, ha lanciato un monito al suo Paese mettendo in guardia amministrazioni e cittadini dall’essere accondiscendenti con il terrorismo ed i suoi protagonisti, affermando la necessità di una lotta concordata contro l’Isis, come pericolo attuale reale per il mondo e per il proprio Paese. Yudhoyono, che sta avviandosi al termine del suo mandato, ha interrotto le vacanze per riunire il gabinetto al fine di discutere alcune questioni pressanti, fra cui quella della minaccia del Isis.
«Non dobbiamo abbassare la guardia – ha affermato il presidente – pensando che il pericolo sia solo lontano da noi, nella zona del Medio Oriente. Se non si è vigilanti e non facciamo nulla, quella stessa violenza potrebbe accadere anche vicino a noi (…), è necessario, quindi, essere molto attenti ed attivi e cercare di capire cosa possiamo fare qui in Indonesia e insieme alla comunità internazionale per porre fine a queste violenze e a questa tragedia dell’umanità».
Già nel mese di agosto il presidente indonesiano aveva condannato quest’ultima fase del terrorismo islamico ed il suo governo aveva imposto misure strettissime di controllo, dopo che un video era stato postato su You Tube da parte di un noto estremista islamico attualmente in prigione, che incitava a unirsi al califfato. Il presidente aveva definito, fra l’altro, l’Isis come un fenomeno imbarazzante per tutto il mondo musulmano.
L’emergenza immediata che ha indotto il presidente a convocare una riunione imprevista dei suoi ministri è stata causata nei giorni scorsi dall’arresto di sette persone, tutte sospettate di essere terroristi. Alcuni di questi provenivano dal Turkestan cinese e alcune fonti hanno dichiarato che i fermati erano in procinto di unirsi ad un gruppo Jihadista, con possibili legami con il Califfato dell’Iraq, attualmente presente nell’Indonesia orientale. I quattro stranieri sono stati arrestati nella provincia di Sulawesi Centrale, mentre si stavano dirigendo verso la città di Poso, una zona montagnosa che si pensa sia sede di gruppi armati di terroristi con legami internazionali. In precedenza erano stati arrestati anche alcuni cittadini indonesiani nel corso di operazioni che miravano a bloccare il ricercato numero uno in Indonesia: Abu Wardah Santoso.
La zona di Sulawesi è da tempo teatro di tensione e scontri fra musulmani e cristiani. Migliaia le vittime delle violenze; centinaia le chiese e le moschee distrutte; migliaia le case rase al suolo; quasi mezzo milione i profughi, di cui 25mila nella sola Poso. Il 20 dicembre 2001 è stata sottoscritta una tregua fra i due fronti – nella zona cristiani e musulmani si equivalgono – firmata a Malino, nelle Sulawesi del Sud, attraverso un piano di pace favorito dal governo. Tuttavia, la tregua non ha fermato episodi sporadici di terrore che hanno colpito pure vittime innocenti.
La polizia ha dichiarato di avere trovato simboli dell’Isis e documenti che inducono a pensare a legami da parte degli arrestati con il terrorismo d’oltre mare. Da tempo il governo è conoscenza della presenza di cittadini stranieri impegnati nella lotta islamista e dei loro contatti diretti con estremisti locali. Il timore è che i gruppi siano impegnati nella formazione di cellule locali dello Stato islamico, pronti a reclutare elementi per la jihad in Siria e Iraq o per colpire obiettivi sensibili in patria. Fonti della polizia affermano infatti che almeno 66 cittadini indonesiani sarebbero operativi in Medio oriente, due dei quali protagonisti di attacchi suicidi.
È, quindi, incoraggiante anche per il suo significato di fronte a Paesi musulmani, l’atto della presidenza della repubblica indonesiana che contonua a prendere le distanze dalla violenza islamica.