L’indignazione troppo facile dei social
Sabato la nazionale di pallavolo femminile ha conquistato la medaglia d’argento ai Mondiali, anche grazie ad una stratosferica Paola Egonu, italiana di origine africana, che a soli 19 anni è diventata la stella di diamante di questa squadra a suon di grandi prestazioni, culminate in semifinale con 45 punti fatti. Un record. Domenica appare sui principali quotidiani italiani una pagina pubblicitaria commissionata da Uliveto, main sponsor della Federazione Italiana di Pallavolo, che già aveva sostenuto la nazionale maschile nei mondiali giocati tra Bulgaria ed Italia.
L’immagine ritrae la nazionale italiana femminile schierata durante l’esecuzione degli inni nazionali. A sinistra, coprendo con evidenza due giocatrici, si ritrova l’immagine di una bottiglia di Uliveto. Sui social, ed in particolar modo su Twitter, impazza la polemica: la tesi è che Uliveto abbia volutamente oscurato, con un atto di malcelato razzismo, due atlete italiane di origini africane della nazionale, Paola Egonu e Miriam Sylla. A supporto di ciò incomincia poi a circolare l’immagine utilizzata da Uliveto per la nazionale maschile, dove nessun giocatore è stato coperto dall’immagine del prodotto pubblicizzato.
Se guardando l’immagine come istanza a sé stante il dubbio è lecito, in poco tempo però emergono alcuni elementi che aiutano a inquadrare il contesto. Innanzitutto, la foto della nazionale femminile utilizzata (fornita direttamente dalla Federazione), così come quella della nazionale maschile, è relativa ad una manifestazione internazionale giocata questa estate, a cui Miriam Sylla non aveva partecipato. L’altra giocatrice “coperta”, si scopre, è Serena Ortolani.
Mentre l’indignazione continua incurante a salire, salta fuori la pagina pubblicitaria di Uliveto di sabato, giorno della finale, dove la nazionale italiana è raffigurata in un abbraccio collettivo in cui Egonu è ben visibile. Anche dando un’occhiata alla pagina Instagram dell’azienda sono presenti diversi post in cui Egonu è addirittura raffigurata da sola e incomincia a prendere corpo l’ipotesi che si tratti davvero di un involontario “incidente”.
Guardando con attenzione le immagini si può notare che quella del prodotto di Uliveto si trova sempre più o meno nella stessa posizione, a sinistra, con la stessa distanza dal margine. In marketing mettere le immagini in quella posizione è la regola “aurea” per aumentare la loro efficacia persuasiva.
È abbastanza plausibile, quindi, che il povero grafico abbia utilizzato un template predefinito, che abbia dovuto mantenere l’oggetto in quella posizione e che per farlo abbia dovuto coprire alcune giocatrici. Perché a differenza della foto utilizzata per la nazionale maschile (che aveva un adeguato spazio di campo tra l’ultimo giocatore e il bordo della foto), nella foto utilizzata per la femminile, presa da una prospettiva di fronte, questo spazio fisicamente non c’è. E si sa, se un capo dice che l’immagine deve stare a sinistra, a sinistra deve stare. Forse anche a costo di partorire un’immagine decisamente brutta come quella pubblicata. E a costo, per eccessiva superficialità, di prestarsi a facili (e in un primo momento anche legittime) letture fuorvianti.
Morale della favola: molto probabilmente non siamo davanti ad un caso di razzismo, quanto ad uno di pressapochismo.
Cosa possiamo imparare
1) nella complessità informativa e comunicativa in cui siamo immersi oggi bisogna trovare un necessario compromesso tra quello che le regole dicono “si fa così” e la capacità di leggere e adattarsi al “sentire” socio/politico del momento, per non prestare il fianco ad inutili alzate di scudi come successo in questo caso.
2) discende di conseguenza ed è il punto focale della comunicazione, che vale nelle relazioni di tutti i giorni: il messaggio non è ciò che si manda, ma è ciò che l’altro riceve e comprende. E difficilmente, agendo in contesti diversi, il destinatario sarà in grado di codificare completamente le intenzioni di chi ha iniziato la comunicazione. Per questo non bisogna mai dare nulla per scontato ed essere il più possibile chiari e precisi, anche nell’uso delle parole.
3) i social media sono strutturati per indurci ad agire subito, immediatamente. Gli algoritmi che li regolano sono strutturati per far leva sulle nostre emozioni negative, come l’indignazione. Ma sono anche un’arma micidiale, perché una volta che abbiamo lanciato il sasso, l’onda si propaga a macchia d’olio e “ritirare” il sasso lanciato diventa difficile.
Riassumendo
Ancora nella serata di domenica c’erano persone che continuavano a minacciare di boicottare Uliveto, avendo preso per buona la primissima versione, quando in realtà erano da ore emersi elementi che, come abbiamo visto, mettono per lo meno in dubbio l’azione di dolo dell’azienda. Per le persone vale la prima cosa letta, e tutto quello che viene dopo diventa spesso inutile rumore che il nostro cervello tende a scartare per non dover fare la fatica di mettere in discussione.
Prima di condividere qualcosa che ci indigna perciò, aspettiamo di avere più elementi, perché spesso le questioni sono più complesse di come appaiono in un primo momento. E rettificare diventa poi spesso impossibile, quando una notizia ha già preso il largo.
Per questo è meglio piuttosto non condividere, se non si conosce la questione nel suo complesso. Perché, come nel caso specifico, questo “al lupo, al lupo” rischia di diventare controproducente e di togliere efficacia a casi che invece meriterebbero ben altra attenzione.