L’indifferenza e l’impegno davanti alla guerra
Sul piccolo stato dello Yemen piovono bombe prodotte in Italia. Le usa una vasta coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita. Paese cliente della Rheinmetall Defence, azienda tedesca che controlla la Rwm Italia, con sede legale a Ghedi nel bresciano e stabilimento operativo a Domusnovas, piccolo comune vicino Cagliari, dove si raggiungono picchi di disoccupazione intorno al 44%.
L’area del Sulcis Iglesiente soffre la fine del ciclo minerario del carbone. Nel 2001 quella fabbrica, che produceva esplosivi per gli scavi in profondità, è stata convertita alla produzione bellica grazie anche a fondi pubblici.
«Venderemo gli ordigni ai nostri alleati», affermava la direzione aziendale del tempo e la protesta si spense lentamente tranne pochi focolai rimasti fastidiosamente accesi, ma considerati espressione di estremisti marginali da molti benpensanti. Ieri, il 21 giugno del 2017, a 16 anni da quella scelta, nella sala stampa della Camera dei deputati a Roma, le maggiori organizzazioni umanitarie e dei diritti umani (Amnesty international, Oxfam, Medici senza frontiere) hanno portato una testimonianza diretta di una guerra che produce migliaia di morti e feriti tra la popolazione civile, milioni di profughi, condizioni sanitarie disastrose che hanno provocato l’insorgere di una epidemia di colera che è difficile curare in ospedali che diventano obiettivo dei bombardamenti aerei.
«La coalizione guidata dall’Arabia Saudita non ha rispettato il diritto umanitario internazionale in almeno 10 attacchi aerei diretti su abitazioni, mercati, fabbriche e su un ospedale», come riferisce il rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen nominati dall’Onu inviato lo scorso 27 gennaio 2017 al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Nello Scavo, continuando l’inchiesta che porta avanti da tempo, ha riportato su Avvenire del 16 giugno le foto del numero di matricola, che rimandano alla Rwm, dell’ordigno «rinvenuto a Der al Hajari, nella regione nord-occidentale di Hodeida dove i caccia piombarono alle 3 di notte dell’8 ottobre 2016: almeno sei civili uccisi, tra cui 4 bambini».
Come ha detto lo stesso direttore del quotidiano della Cei, Marco Tarquinio, intervenuto in conferenza stampa, «è intollerabile che si possa sparare sulla Croce Rossa, ma è inconcepibile che una tale aggressione avvenga con bombe fabbricate in Italia».
Evidentemente sono di diverso parere gli esponenti del governo in carica, dal premier Gentiloni al ministro della Difesa Pinotti, che hanno respinto pubblicamente ogni illiceità nella fornitura dei armi a Paesi in guerra. L’Arabia Saudita, si sa, è alleata degli Usa e grande cliente della produzione bellica, ben prima dell’era di Trump.
Come sottolinea Maurizio Simoncelli di Archivio disarmo riportando i dati del Sipri di Stoccolma, «l’Arabia Saudita, nel quinquennio 2012-2016, è il secondo Paese importatore di maggiori sistemi d’arma al mondo, conquistando l’8,2% del mercato globale».
In maniera provocatoria il conduttore della trasmissione satirica di Italia 1 “Le Iene“, Dino Gianrusso, ha cercato di avvicinare il presidente del Consiglio mostrando provocatoriamente le mani dipinte di rosso sangue. Facendo zapping sulle tv commerciali ci si può indignare temporaneamente, maturando un senso di sfiducia nella politica e nella società in generale.
La pretesa delle associazioni (Amnesty, Rete disarmo, Rete pace, Banca etica, Focolari, Oxfam) che hanno indetto la conferenza stampa alla Camera ha voluto invece fare appello al senso di umanità e responsabilità di ogni parlamentare, superando ogni ordine di scuderia e timore, perché adottino una mozione urgente per bloccare l’invio delle bombe. Mancano pochi mesi alla fine di una legislatura convulsa. Il tempo è davvero breve per un gesto coerente con la Costituzione che ripudia la guerra.
È cominciato così una specie di appello nominale che verrà ribadito personalmente dai cittadini responsabili che chiederanno a ogni singolo parlamentare italiano di votare l’identico testo approvato dal parlamento europeo a febbraio 2016, e ribadito a giugno 2017, che chiede di fermare «l’esportazione di armi all’Arabia Saudita e a tutti Paesi coinvolti nel conflitto armato in Yemen».
Lo hanno già chiesto con una lettera aperta ai parlamentari eletti in Sardegna i due portavoce, Arnaldo Scarpa e Cinzia Guaita, del “Comitato Riconversione Rwm per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica, il disarmo”, costituito da oltre 20 associazioni dell’isola che si sono ritrovate assieme il giorno dopo la marcia per la pace e il lavoro promossa dal Movimento dei Focolari ad Iglesias, comune confinante con Domusnovas e dove la Rwm ha intenzione di espandersi.
Come ha ribadito Arnaldo Scarpa durante la conferenza stampa «vogliamo uno sviluppo sano, sostenibile, pacifico e non sfruttato o succube di logiche di guerra. Dal nostro lavoro non deve derivare morte e distruzione, in particolare di civili e bambini. Vogliamo poter costruire un lavoro che produce futuro e che si possa raccontare ai propri figli, basato sulla pace. Chiediamo alle istituzioni di rovesciare la situazione che si è creata: nel 2001 una fabbrica esplosivi ad uso civile è stata convertita con soldi pubblici al militare. Perché non si può fare il percorso inverso?».
Un punto di domanda ribadito da Alfredo Scognamiglio del Movimento dei Focolari Italia che ha chiesto: «perché le istituzioni non rispondono? Come mai non bastano gli appelli di papa Francesco? Quante volte deve parlare il papa? Dobbiamo essere accanto a chi lotta per la riconversione e dobbiamo stare a loro fianco».
Una domanda che fatica ad essere ascoltata se il giorno dopo la conferenza solo Luca Liverani su Avvenire riporta fedelmente la questione che ha, come ha detto Nicoletta Dentico di Banca Etica, una grande «valenza simbolica» davanti a «una politica nazionale ed internazionale che si riempie la bocca con lo “sviluppo sostenibile” mentre nella realtà si favorisce la produzione di armi».
Di quanto accade e delle responsabilità italiane «siamo pochi, pochissimi, a parlarne, cerchiamo di squarciare la censura dei media mainstream sulla disperazione silenziosa dello Yemen, ignorato dal mondo. E continueremo a farlo», afferma Antonella Napoli, giornalista della presidenza di Articolo 21, che sostiene l’iniziativa. Come esponente dei “pochissimi” che cercano di dare una informazione diretta e non condizionata era presenti e sono intervenuti nella conferenza stampa i direttori di Nigrizia e Città Nuova, Efrem Tresoldi e Michele Zanzucchi.
Il disinteresse generale che Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, ha denunciato davanti ad «un conflitto sporco che va avanti da più di due anni nel disinteresse generale», si spiega con molte omissioni fondate su alcune convinzioni diffuse nel sentire comune, a partire dalla paura per il lavoro nella Sardegna falcidiata nella crisi.
«Un ricatto che non possiamo accettare», afferma il comitato per la riconversione economica del Sulcis, territorio «dove la bellezza è di casa» e può offrire tante possibilità di lavoro giusto e utile, a cominciare dalle bonifiche necessarie dalla fine di un industrialismo maldestro che rischia di lasciare solo il deserto.
Tra i diversi parlamentari presenti sono intervenuti: Giorgio Zanin del Pd, per confermare l’impegno ad un’azione trasversale e coerente, Emanuela Corda del M5S, che ha ribadito il silenzio complice del governo davanti alle loro interpellanze in materia e quindi la difficoltà ad un cammino comune con chi sostiene questo esecutivo, mentre Michele Piras di Mdp ha affermato che questa presa di posizione richiesta dalla società civile è una occasione di unità possibile, a partire proprio dal territorio sardo da cui proviene.
Ci sarà bisogno di tanto lavoro ostinato. Come dice Angelo Cremone, storico attivista ambientalista del Sulcis presente all’iniziativa alla Camera, «nulla può giustificare la morte di un bambino straziato dalle bombe», ma la situazione nello Yemen parla anche «di 4,5 milioni di persone che soffrono di malnutrizione», come afferma Paolo Pezzati di Oxfam, «e di questi circa 2 milioni sono bambini».
«I destini del mondo si decidono nelle periferie» ha detto papa Francesco riprendendo le parole di Primo Mazzolari che, durante il fascismo, ammoniva la sua Chiesa a non restare per troppo tempo in silenzio altrimenti «quando riprenderemo a gridare nessuno ci ascolterà avendoci catalogati tra i morti». «Non possiamo tacere e restare indifferenti» ripetono i portavoce del comitato del Sulcis Iglesiente.
Qui il video della conferenza stampa Camera dei deputati 21 giugno 2017.