Linda al Teatro dell’Opera
Non è certo folle omicida per amore come accade a Lucia, ma ci manca poco. Succede anche ad Amina nella Sonnambula e ad Elvira nei Puritani di Bellini. Le fanciulle romantiche sono fragili di nervi, amano troppo, non reggono all’ansia e alle difficoltà, e si ammalano d’amore. Così Linda di Chamounix, opera semiseria di Donizetti, vede la povera ragazza insidiata da una nobile, fuggitiva e innamorata di Carlo, perdere la testa per il supposto tradimento di lui e risvegliarsi però solo al momento giusto, ritrovando la ragione e l’amore. Opera semiseria, si diceva, ossia un dramma a lieto fine, con tocchi buffi – la parte del nobile prima smargiasso dongiovanni poi pentito -, lacrime e pianto, ed un belcanto così etereo, voluttuoso e pulito da far sognare. Donizetti ci ha lavorato di fino, a partire dalla sinfonia iniziale, memore del sinfonismo viennese (Schubert) – scriveva nel 1842 per il Teatro di Porta Carinzia -, dai cori “fugati”, dalla ricchezza orchestrale (la glassarmonica della Lucia qui cede il posto alla ghironda, strumento alpino nostalgico).
Naturalmente, offrendo cavatine e cabalette bellissime – il duetto “A consolarmi affrettisi” è un gioiello di finezza melodica tanto da venir usato come motivo ricorrente, l’aria “O luce di quest’anima” è di una squisita eleganza – con quel senso di pietas consolatoria e virile tipica del grande compositore. Musica quindi da gustare pienamente e occorre dire che le scene a pastello bianco e azzurrino di Daniel Bianco, la regia lineare di Emilio Sagi sono state davvero indovinate. Una grande Jessica Pratt ha delineato una Linda nostalgica eterea e soave, ma determinata insieme all’elegante tenore Ismael Jordi e al contralto Ketevan Kemoklidze, ma anche il marchese Bruno De Simone, perfetto buffo, e il prefetto Christian van Horn – stupendo basso – hanno eseguito Donizetti con amore.
La musica, oltre la trama drammaturgicamente piccola, è bellissima, l’orchestra ricca di sfumature e colori continui, la vena melodica sgorga costante e la gioia nata dal pianto, così tipica del maestro bergamasco, esce fino a commuovere anche gli spettatori d’oggi. Si sentono Bellini e Rossini, Verdi fa già capolino perchè Donizetti assume il passato e apre all’avvenire, ma è lui solo a saper unire il brillante e il patetico in modo così “umano”. Qualche problema la direzione poco appassionata di Riccardo Frizza, non a suo agio forse in una partitura complessa, ricca di peculiarità strumentali (la sinfonia non è stata eseguita) e con una orchestra talora non troppo in sintonia con il suo gesto. Ma nelle repliche migliorerà, si spera, visto che sono sino al 28 giugno. Perfetto il coro. Dopo un centinaio d’anni Linda è tornata a Roma, quindi da non perdere, perché è un autentico capolavoro.