L’inculturazione nel Movimento dei Focolari

Riportiamo l'intervento pubblicato in "L'inculturazione e il Concetto di Dio nella Tradizione africana", a cura del Centro per l'inculturazione, Mariapoli Piero, Nairobi 2001.

La dimensione del “farsi uno”

 

Iniziamo questo colloquio con le parole di Chiara Lubich dopo il suo ultimo viaggio in Africa: “Una delle tante grazie che la Madonna in questo mese di maggio ci ha fatto. nel nostro soggiorno in Africa, è stata quella di comprendere una nuova dimensione del ‘farsi uno’”1.

 

Il ‘farsi uno’ è sempre stato un punto fondamentale della spiritualità del Movimento, ma qui Chiara parla di una nuova dimensione del farsi uno. Questo suppone una comprensione nuova, frutto di una grazia della Madonna legata alla presenza di Chiara in Africa. C’è quindi qualcosa in più da capire ed anche qualcosa di nuovo nel modo di applicarlo alla nostra vita.

 

Chiara poi continua cominciando a svelarci questa novità e dice: “Abbiamo compreso che dobbiamo vedere non solo i poveri come nostri padroni, ma anche tutti i nostri prossimi. Infatti, se Gesù ha detto che non venuto per essere servito ma per servire, il servo siamo noi e i padroni gli altri. E come tale è lui, il fratello, che deve avere la prima parola, essere onorato, obbedito, perché è lui che comanda”2.

 

Qui già si capisce che si deve ‘farsi uno’ non solo ascoltando l’altro per fare un atto di carità, ma facendosi uno profondamente, dimenticandoci di noi e immedesimandoci nell’altro come fosse la sola cosa che conta. E difatti se noi ci annulliamo per amore, esiste solo l’altro.

 

I punti che mi sembrano nuovi sono due: – ogni prossimo è nostro padrone; – va ascoltato con l’atteggiamento del servo per il quale quello che il padrone dice è la cosa più importante.

 

E ancora Chiara: “Ma allora qual è l’atteggiamento nostro nei suoi confronti?… Dobbiamo metterci a sua disposizione (del prossimo), accostarlo vuoti completamente di noi stessi e spostare per lui anche ciò che possediamo di più bello, di più grande, il nostro stesso carisma, la nostra spiritualità, la nostra Opera, per essere di fronte al lui ‘nulla’ come Gesù Abbandonato, come Maria Desolata… In tal modo il fratello può manifestarsi perché trova chi lo accoglie: può donarsi”3.

 

Quello che colpisce in questo “spostare noi stessi” per farsi uno è la misura, che è la stessa realtà profonda dell’Ideale incarnato, cioè di quelle realtà caratteristiche della Spiritualità dell’Unità del Movimento dei focolari che sono Gesù Abbandonato e Maria Desolata. D’altra parte è anche l’unico modo vero perché ci sia Gesù in mezzo con quel prossimo, e di conseguenza lo Spirito Santo e la Sua luce. E Chiara dice, a queste condizioni il fratello può manifestarsi!

 

È la prima fase dell’azione dello Spirito: la manifestazione del fratello in tutto quello che c’è di positivo e di sapienziale in lui perché viene dallo Spirito Santo che si manifesta nell’amore.

 

La parte attiva, d’amore, di noi come ‘servi’ di fronte al fratello ‘padrone’, è quella di guidare, se così si può dire, la conversazione perché il fratello possa aprirsi completamente.

 

Così scrive Chiara: “Ma poiché il ‘nulla’ in noi è un ‘nulla’ d’amore e non certo un nulla sinonimo di inesistenza, lo Spirito Santo, che vigila, presente in noi, ci illumina e ci permette di guidare in certo modo la conversazione perché il fratello possa completamente aprirsi. Non solo, ma ci dà modo di cogliere quel qualcosa di vivo che è nel cuore del fratello, ‘vivo’ nel senso soprannaturale, fiammella della vita divina in lui; o ‘vivo’ semplicemente nel senso umano, espressione cioè di quei valori che il Signore, creandoci, ha disseminato in ogni anima umana”4.

 

Qui comincia la seconda fase dell’azione dello Spirito con la comprensione da parte nostra di ciò che c’è di positivo, di ‘vivo’ nell’altro, che Chiara distingue in soprannaturale e umano.

 

Penso che per soprannaturale si possano intendere tutte le manifestazioni e sentimenti frutto dell’azione della ‘grazia’, in chi è già cristiano, e per umano tutto il buono e il bello di persone sia cristiane che non cristiane in cui agiscono però i ‘semi del Verbo’. Questo secondo aspetto è di particolare importanza per noi che trattiamo di inculturazione.

 

“E, su quel qualche cosa di ‘vivo’ noi possiamo, servendo. innestare con dolcezza, con amore, con illimitata discrezione, quegli aspetti della verità, del messaggio evangelico che portiamo, che danno pienezza e completezza a ciò che quel prossimo già crede e sono da lui spesso attesi. quasi agognati aspetti che trascinano con sé, poi, tutta la verità”5.

Descrivendo come deve avvenire il dialogo-servizio, Chiara mostra la continuazione della seconda fase dell’azione dello Spirito. Mette sempre l’accento sul servizio: non dev’essere una pretesa la nostra, un’imposizione, anche se si trattasse di imporre la verità: e dice di ‘innestare con dolcezza gli aspetti del messaggio’.

 

Mi sembra di capire che dobbiamo far presente al nostro prossimo, ed aiutarlo ad accettare, il corpo dottrinale cristiano, focolarino, non tutto in un colpo, ma cominciando da quegli aspetti che s’innestano più facilmente sui valori culturali giù presenti, che sono implicitamente uno sviluppo delle credenze precedenti, tanto da essere da lui (prossimo) ‘spesso attesi, quasi agognati’.

 

“Così il fratello ha prima dato, e noi poi, abbiamo fatto altrettanto e la fiamma del nostro ideale va a beneficio di tanti. È un modo questo, eccellente per il Continente dove la Chiesa, — quindi anche noi (focolarini) — fa leva sui ‘semi del Verbo’ esistenti nelle varie culture per innestare la vita (Gesù) su qualcosa di già vivo. come è vivo ogni albero anche selvatico, non ancora innestato”6.

 

Gesù è il Verbo incarnato; ora se quel che deve avvenire è l’innesto del Verbo nei ‘semi del Verbo’, vuol dire che una cosa (Gesù Verbo) diviene la pienezza dell’altra (semi del Verbo).

 

E se l’uomo è l’intermediario di questa operazione, essa può essere fatta solo se quest’uomo, essendo Gesù Abbandonato e Maria Desolata, cioè essendo ‘il nulla’ di sé, può guardare con eguale amore al Verbo in cielo e ai semi del Verbo sulla terra.

 

Chiara descrive così quest’operazione: “La prima opera che dobbiamo edificare è Cristo in noi, è Maria in noi. E loro ‘sono’ proprio là dove sono ‘nulla’, nell’abbandono e nella desolazione… E allora tentiamo di vivere questo che è stato il suo modo (di Gesù) di amare, questo ‘farsi uno’, come Lui ha fatto, quando da Dio s’è fatto noi, s’è fatto uomo”7.

 

A questo punto non possiamo non chiederci: quali sono questi semi del Verbo? Come discernerli, dato che il nostro approccio del ‘farsi uno’ è praticamente basato sulla scoperta e valorizzazione dei semi del Verbo?

 

Pensando ai semi del Verbo mi è venuto in mente quell’episodio riportato su Città Nuova n. 10 del 1992, in cui l’anziano capo tribù dà una risposta del tutto inaspettata, che esce da tutte le categorie mentali ordinarie a cui siamo abituati in occidente. Riporto l’episodio: David Livingstone, uno dei più famosi missionari protestanti del secolo scorso, chiede ad un anziano capo tribù con cui aveva fatto amicizia: “Che cosa è per te quello che si chiama santità?” E l’anziano risponde: “Quando la pioggia è caduta copiosa tutta la notte e la terra, le foglie e il bestiame sono stati lavati e puliti, quando il sole del mattino illumina le gocce di rugiada avvinte ad ogni stelo d’erba e l’aria è pura e frizzante, quella è santità”.

 

È possibile dire che questo è seme del Verbo? E perché? Spero mi concederete questa domanda che ha lo scopo di metterci in moto con intelligenza e con amore sulla strada che Chiara ci ha indicato per farci ‘uno’ e per fare il dialogo nella verità.

 

A proposito dell’episodio citato, saremmo tentati, per esempio, di dire che si tratta soltanto di una simpatica espressione poetica; ma potrebbe anche darsi che invece essa richieda un maggiore approfondimento del suo significato vitale e delle ragioni profonde che hanno generato quella risposta.

 

Ad ogni modo mi sembra chiaro che quello dell’interpretazione dei semi del Verbo è un argomento che richiede considerazione e approfondimento.

 

E qui Chiara ci viene ancora in aiuto quando, parlando ai focolarini di Man durante la sua presenza a Nairobi il 21.05.92, comincia ad insegnarci come seguire l’azione dello Spirito Santo per discernere i semi del Verbo.

 

Chiara dice: “Solo perché ho la possibilità del confronto posso dire: quello è un seme del Verbo, va purificato così, va purificato colà, va salvato questo. Perché ho il confronto con l’Ideale, cioè con la verità, col messaggio evangelico, posso dire: quella data società va bene, per es. la tribù va bene fino ad un certo punto, perché no, perché sì. Oppure la famiglia, questa famiglia larga va bene perché no, perché sì. Perché ho l’idea di cos’è la famiglia dei figli di Dio, di cosa Gesù ha portato, di cos’è l’Opera di Maria”.

 

Inoltre, sempre a proposito dei semi del Verbo, si può avere una luce genuina in quello che dice la Chiesa, nella persona del papa Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Redemptoris Missio: “Lo Spirito Santo si manifesta in modo speciale nella Chiesa e nei suoi membri. Ciò nonostante, la sua presenza ed attività sono universali, non limitati né dallo spazio né dal tempo. Il Concilio Vaticano TI ci ricorda che lo Spirito è al lavoro nel cuore di ogni persona attraverso i ‘semi del Verbo’ che si incontrano nelle iniziative umane, comprese quelle religiose, e negli sforzi dell’uomo di raggiungere la verità, la bontà, e Dio stesso” (n. 28).

 

Permettetemi di fermarmi un attimo sulla definizione “inculturazione focolarina” che è stata data da Chiara stessa il 18 maggio 1992 nella sua risposta alle domande delle comunità dell’Africa presenti a Nairobi.

Chiamando col nome ‘focolarina’ 1’inculturazione che Chiara propone ai membri del Movimento dei focolari, mi pare che implicitamente siano chiarite due cose:

 

– che non si pretende sia il solo tipo d’inculturazione – del resto è un argomento ancora molto dibattuto e sul quale addirittura si è sentita la necessità di convocare un sinodo -, ma piuttosto il contributo che il Movimento è chiamato a dare all’ampio processo d’inculturazione che la Chiesa promuove;

 

– che è il modo col quale Chiara, in veste di fondatrice del Movimento, chiede ai membri del Movimento stesso di affrontare il dialogo con persone che per circostanze varie vengono in contatto con il Movimento, ma non hanno la stessa fede religiosa (si tratta nella maggioranza dei casi di seguaci delle religioni tradizionali africane), oppure che, pur avendo abbracciato il cristianesimo, mantengono alcune credenze derivanti dalla religione tradizionale che si ripercuotono poi nei comportamenti della vita quotidiana.

 

Inoltre, Chiara, giacché parla rivolgendosi a membri interni del Movimento, dice: “Voi Africani (dovete) inculturarvi nella cultura europea. noi europei inculturarci… (in quella africana). Ma anche fra voi africani: quelli del Burundi inculturarsi in quella del Ken a (ecc.) perché sono tutte culture diverse. Quindi vorrei affermare che è una interinculturazione’ che dobbiamo fare”8.

 

Questa interinculturazione, di cui Chiara parla, è valida naturalmente per le persone che hanno accettato di fare propria la spiritualità del Movimento dei focolari, che quindi hanno già capito che per ‘farsi uno’ bisogna ‘perdere’ e mettere in luce il buono e il bello dell’altro, che in questo caso è considerato il ‘nostro padrone’.

 

Ma non può essere applicata a tutti, perlomeno all’inizio dell’approccio. Difatti, subito dopo, Chiara ritorna a quella che è l’accezione ordinaria del termine, cioè dell’incontro di un messaggio religioso da proporre per l’evangelizzazione di popolazioni considerate pagane.

 

A questo proposito, sappiamo e vedremo meglio nelle lezioni di Giuliano Ricchiardi, che non è corretto chiamarle pagane perché anche loro credono in un Dio trascendente.

 

La “luce bianca”

 

E Chiara prosegue: “Quello che non piace in Africa è una teologia inculturata in una data cultura, cioè quella europea… Allora mi sono ricordata che ultimamente è maturata in alcuni teologi nostri di valore e Vescovi di grande valore, la convinzione che sotto questa grande corrente spirituale dell’Opera di Maria c’è una dottrina, una dottrina nuova, però cattolica, che prende tutte le verità ma che si presenta in maniera nuova, adatta ai tempi, e che viene incontro alle esigenze soprattutto del Concilio Vaticano II… Ho capito che da lì (da questa corrente spirituale) uscirà una dottrina che non è legata ad un ambiente culturale particolare, ma è legata al carisma, che è venuto da Dio e quindi è legata al Cielo e quindi viene qui come una luce bianca cioè senza colore… Questa dottrina potrebbe essere utile per tutti i teologi del mondo e colorarsi, secondo gli ambienti, delle diverse culture: assumere diverse culture in questa unica verità che sarà insegnata e trasmessa”9.

 

Qui Chiara mette in evidenza l’Ideale come ‘luce bianca’, quindi adatta a tutte le culture. Questo sarebbe lo strumento preparato che da Dio per innestare il messaggio evangelico nell’alberello maturato dai semi del Verbo nelle società umane.

 

Potremmo chiederci: qual è la differenza fra il messaggio evangelico presentato 50 anni fa e quello di cui parla Chiara?

Quell’autorità religiosa con cui Chiara si è incontrata a Nairobi affermava che in questi 2000 anni è stato portato in giro un modo piuttosto europeo di interpretare la nostra religione, per esempio il rito è quello latino, greco-latino, la teologia si appoggia su elementi filosofici greco-latini perciò europei.

 

Quindi a me sembra che la differenza stia nel fatto che questa dottrina nuova, questa luce bianca, perché scaturita dal carisma, non si appoggia su elementi di una cultura particolare come quella greco-latina. Essa perciò è adatta ad essere innestata nelle varie culture.

 

“Difatti questa inculturazione – prosegue Chiara – è riuscire a penetrare in queste diverse culture per far emergere queste verità che sono magari verità o mezze verità, o quasi verità o verità totali, e far sì che quel popolo creda all’ideale, che è il messaggio evangelico, per via di queste verità, perché dice: in fondo è quello che ho sempre anche pensato”10.

A proposito di queste verità, che dovrebbero costituire l’elemento valido su cui innestare il messaggio, Chiara dice anche che non sempre sono state correttamente interpretate o applicate dalle diverse società e quindi hanno bisogno di essere corrette.

 

Chiara ne dà un esempio: “In Africa ho visto che si punta tanto sull’unità: è una caratteristica dell’Africa puntare sull’unità. Naturalmente non è l’unità portata da Gesù; quella è un’unità un po’ speciale; occorre la carità che viene da Dio, occorre essere della fraternità universale che Gesù ha portato. L’unità in Africa si vede nelle famiglie, ecc., tutte cose buone, ma non è quella soprannaturale di Gesù, la quale salva non solo il gruppo, ma i singoli. Perché nella Santissima Trinità c’è Dio uno: ecco il gruppo, ma anche le tre divine persone: ecco i singoli. E forse bisogna fare, attraverso l’Ideale, un po’ questa piccola correzione al concetto d’unità che c’è qua e là in Africa”.

 

Questo che Chiara descrive è un esempio eloquente di come vanno evidenziate e, se necessario, corrette alla luce della Rivelazione, le elaborazioni umane dei semi del Verbo. Chiara continua riassumendo il processo d’inculturazione focolarina: “Allora i punti che prendemmo in considerazione nei giorni precedenti, sono questi:

 

1) Prima di tutto ci siamo accorti che abbiamo un’arma nostra potente per l’inculturazione…: il farsi uno. ‘Farsi uno’, sai cosa significa? Significa: tagliare la radice della tua cultura, entrare nella cultura dell’altro e capirlo e lasciare che si esprima finché l’hai compreso dentro di te. Quando l’hai compreso, allora sì, potrai iniziare il dialogo con lui e passare anche il messaggio evangelico attraverso le ricchezze che lui già possiede…

 

Tante volte, per modo di dire, si costruiscono ospedali, come facciamo anche noi a Fontem, come faremo da altre parti. si costruiscono scuole, si costruiscono tante cose, ci si fa ‘uno’ certo, perché ‘mi faccio ammalato con gli ammalati’, ‘mi faccio ignorante con gli ignoranti’, ma è un po’ esterno questo ‘farsi uno’.

Mentre il ‘farsi uno’ che richiede l’inculturazione è un entrare nell’anima, è entrare nelle culture, è entrare nella mentalità, è entrare nella tradizione, è entrare nelle consuetudini, capirle e fiume emergere i semi del Verbo. E allora: prima di tutto, l’arma potente il ‘farsi uno’.

 

2) Fare propri quelli che sono i frutti della Scuola Abbà, cioè di questa teologia che noi chiamiamo la ‘luce bianca’ perché non ha la colorazione di una cultura particolare.

 

3) Incominciare a raccogliere… le tradizioni orali soprattutto, perché tante cose non sono scritte: i proverbi, i detti, le poesie. le cantoni con dentro i semi del Verbo. Raccogliere quei libri che sono già stati frutto di tanto lavoro dei nostri missionari. dei nostri Vescovi e che parlano dell’inculturazione.

 

E poi la novità è questa: … qui a Nairobi nascerà subito, perché domani mettiamo la prima pietra, una scuola per 1’inculturazione! Così pian piano tutti, cominciando dai dirigenti (capi nucleo, capi unità, perni delle segreterie dei sacerdoti, dei religiosi, delle suore). possano passare un po’ di tempo, per vedere, per arricchirsi di questa nuova teologia, per arricchirsi di tutto lo studio che verrei fuori”11.

 

In breve, per ricordarci il cammino dell’inculturazione focolarina, si tratta di evidenziare i semi del Verbo all’interno di un determinato gruppo umano; di rendere coscienti i diversi popoli che Dio ha lavorato anche nella loro cultura ed infine di aprire loro l’orizzonte mostrando la luce bianca che è la teologia ideale senza colore.

 

A questo punto ci troviamo tutti uguali di fronte alla luce bianca del carisma, sia coloro che hanno fatto lo sfarzo di ‘perdere per penetrare la cultura dell’altro e scoprire i semi del Verbo, sia coloro che hanno scoperto che Dio ha lavorato nei secoli all’interno della loro cultura lasciandola – come dice San Giovanni della Croce – ‘ammantata di bellezza’.

 

Tutti sentiamo che Dio vuole manifestarsi in modo nuovo e che vuole ricompensare tutti con la stessa moneta sia l’operaio che ha lavorato nella vigna per tutto il giorno, sia quello che è stato assunto all’ultimo momento (cf. Mt 20, 1-16). Dio sembra premiare la buona volontà, non la quantità del lavoro fatto!

 

Nel caso nostro, la buona volontà mi sembra corrisponda a quella che Chiara sottolinea, rispondendo ad una domanda dei focolarini: “Perdere tutto, essere nulla, significa anche perdere la propria cultura. Perdere significa spostarla, che non venga ad intralciare niente”12.

 

Allora, se noi pur coscienti dei nostri rispettivi valori, sappiamo distaccarcene, facciamo quell’atto di buona volontà che Dio premierà aprendo il nostro animo alla comprensione della “luce bianca”.

 

 

NOTE

 

1 C. Lubich, Collegamento CH, 28.05.1992.

2 Ibid.

3 Ibid.

4 Ibid.

5 Ibid.

6 Ibid.

7 Ibid.

8 C. Lubich, Ai membri interni del Movimento dei Focolari, Nairobi, 18 maggio 1992.

9 Ibid.

10 Ibid.

11 Ibid.

12 C. Lubich, Ai focolarini, Nairobi, 12 maggio 1992. 

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