L’inclusione scolastica dei bambini delle comunità Rom
Una storia, quella dei Rom, poco conosciuta, racconta Luca Bravi, (ricercatore presso il Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Firenze, autore di numerose pubblicazioni relative alla storia dei rom e dei sinti in Europa) ed è davvero sorprendente come questa comunità così numerosa e sparsa in tutta Europa sia stata oppressa e schiacciata da pregiudizi storici che faticano a essere ancora oggi rimossi. Non tutti forse sono a conoscenza che in Italia, attualmente, il popolo Rom è costituito da circa 170mila persone e rappresentano lo 0,23 % del totale della popolazione, una delle percentuali più basse d’Europa con un indice di ostilità dell’86% da parte degli italiani che è il più alto dei Paesi Europei. In Spagna sono 800 mila, 1,58% del totale della popolazione con l’indice di ostilità del 41%. Più della metà di rom e sinti nel nostro Paese sono di cittadinanza italiana e di antico insediamento.
Oggi la maggior parte degli italiani crede ancora che rom e sinti siano “nomadi” anche se non lo sono mai stati. Il perdurare dei pregiudizi viene alimentato dalla narrazione di un racconto che tende a generalizzare tutti i Rom con lo stereotipo negativo del Rom che vive povero, socialmente escluso, senza una cultura propria. Invece tanti ragazzi, tante persone di etnia Rom stanno in mezzo a noi, hanno amici, una casa e un lavoro ma tendono ad utilizzare la strategia dell’invisibilità e del silenzio per non perdere il posto di lavoro, per non essere discriminati dai compagni o per non essere legati all’immagine dei Campi Nomadi. La decostruzione degli stereotipi può avvenire solo con l’incontro tra persone, con la conoscenza reciproca che dà spazio all’ascolto e alla condivisione di storie umane. Il ruolo della scuola a questo proposito è fondamentale per costruire autentiche relazioni inclusive.
Di questo si è parlato al primo di una serie di incontri di un ciclo di seminari dal titolo “L’inclusione scolastica dei bambini delle comunità Rom. Approfondimenti teorici e tecnici”, promosso nell’ambito del “PON Inclusione – Progetto Nazionale per l’inclusione scolastica e sociale dei bambini Rom, Sinti e Caminanti (RSC)” dal Responsabile Unico del Procedimento dott.ssa Adriana Gennaro del Comune di Palermo e organizzato dal Consorzio Sol.co Rete di Imprese Sociali Siciliane, con la sua cooperativa Sviluppo Solidale Centro di Prossimità di Fondazione Èbbene, dall’Istituto degli Innocenti e dall’Associazione Culturale In Medias Res. I seminari, distribuiti in tre settimane, vogliono essere giornate di confronto e formazione aperti a insegnanti, dirigenti scolastici, operatori e a tutti coloro desiderino avvicinarsi e comprendere meglio la realtà di rom, sinti e caminnanti.
«In Italia vivono due grandi gruppi: i sinti e i rom», continua Luca Bravi. Il primo nome deriva da Sindh, una regione del Pakistan da dove provengono, il secondo significa “uomo libero” e viene usato per designare l’intera comunità nomade. I sinti sono di provenienza mitteleuropea e sono da noi fin dal 1.400, mentre i rom abruzzesi, la più nutrita comunità italiana, arrivarono da Grecia e Albania attraversando l’Adriatico. Dopo l’atroce guerra iugoslava abbiamo avuto una forte immigrazione di rom khorakhana (musulmani) e kanjarja (ortodossi).
«In Europa – spiega Bravi – i Rom si mossero molto cautamente. Non fecero mai guerre e per non essere cancellati, si sparpagliarono in piccole unità, famiglie che dovevano essere mobili e sfuggenti ai controlli». Il nomadismo fu quindi un adattamento di fronte alla repressione, non una condizione etnica».
Bravi racconta la storia della deportazione dei rom nei campi di concentramento nazisti, 500.000 uomini donne e bambini furono letteralmente divorati come indica il termine Porrajmos , traducibile come “grande divoramento” con cui Rom e Sinti indicano lo sterminio del loro popolo sotto il fascismo e il nazismo.
La testimonianza della dott.ssa Granata, ex Dirigente scolastica della scuola primaria “De Gasperi” di Palermo che ha accolto negli anni il maggior numero di bambini Rom del Campo di Palermo, ha evidenziato il lento ma graduale passaggio da situazioni difficili di accettazione da parte dei genitori dei bambini Rom accanto ai loro figli, a incontri di conoscenza sempre più frequenti che hanno smontato i pregiudizi e hanno visto proprio le mamme con i loro figli recarsi al Campo per condividere la realtà dei compagnetti e sostenerli nei momenti di difficoltà. Gli interventi didattici sono passati da attività di tipo compensatorio (doposcuola e ripetizioni individuali) ad attività rivolte a tutta la classe con strategie mirate all’inclusione come quelle del cooperative learning così come previsto dal Progetto RSC Nazionale.
A livello cittadino, la dott.ssa Carla Mazzola, Referente dell’Ufficio Scolastico Regionale Sicilia per l’integrazione scolastica degli alunni Rom dal 2006 al 2020, ha illustrato il percorso fatto con le famiglie e i ragazzi che ha portato gli alunni Rom a proseguire il percorso scolastico, che prima si fermava alla scuola primaria, anche alle scuole secondarie di primo e secondo grado. Ricorda che per i primi cinque ragazzi che nel 2007 erano riusciti a conseguire la licenza media fu organizzata una conferenza stampa dal Direttore regionale dell’USR e ne parlarono i giornali locali. Adesso, il percorso scolastico non è più un fatto straordinario, tanti altri ragazzi rom hanno proseguito conseguendo la licenza media e proseguendo nelle scuole superiori.
La normalizzazione dei percorsi di studi è una conquista che richiede impegno costante da parte di tutta la rete che ormai si è costituita da tempo a Palermo e coinvolge il Comune di Palermo, l’ambulatorio dell’ASL, le scuole, l’Osservatorio sulla dispersione scolastica dell’USR. Sicilia, le associazioni e il volontariato. La rete ha sostenuto le famiglie del Campo chiedendone sempre la dismissione non selvaggia ma pacifica e umana e questo finalmente è avvenuto il 5 aprile 2019. Il racconto della dismissione del Campo, è stato emozionante perché ha messo il luce il clima di fiducia costruito nel tempo tra le famiglie Rom e la rete di persone amiche. La fiducia ha sconfitto le paure e ha permesso che dopo 27 anni di vita al Campo, ciascuna famiglia, possa essere stata trasferita in strutture ospitanti o in abitazioni, per tutti è stata trovata una sistemazione, nessuno escluso.