L’incidente marittimo del pellet di plastica
Altre volte è accaduto: a causa di un incidente grave, o una crisi economica, o un disastro naturale veniamo a sapere che esiste un dato prodotto, o un termine finanziario, o un fenomeno atmosferico… E quindi incorporiamo nel nostro vocabolario le parole che accompagnano questi episodi. Ecco, la parola di questi giorni è “pellet”. In realtà la conoscevamo associata a quel prodotto elaborato a partire di residui di legno che si usa per un certo tipo di caldaie. Esiste però anche il pellet di plastica, cioè la materia prima da cui si elaborano e producono i prodotti di plastica. Si tratta di polimeri che possono essere fusi per dar loro la forma desiderata e realizzare oggetti diversi: sacchetti, bottiglie, confezioni… Il pellet di plastica si presenta in forma di piccolissime palline con un diametro di pochi millimetri, anche se ben visibili e più grandi dei granelli di sabbia.
Immaginiamo ora che il pellet di plastica, normalmente trasportato in sacchi da dieci chili, invada un terreno boscoso, o un campo coltivato, o una spiaggia. Come si fa per raccoglierlo? Perché quella plastica, in un grado più o meno grave, è inquinante. Ci sono disaccordi su questo, ma per la Commissione europea questa è una delle maggiori fonti di «inquinamento microplastico involontario». Sulla sabbia di una spiaggia quelle palline, che sembrano piccole uova, possono essere ingerite dagli uccelli e farli morire. Potrebbero essere anche ingerite da altri animali e finire nella catena alimentare umana.
L’incidente marittimo che ha fatto notizia sul pellet di plastica è accaduto in mare l’8 dicembre scorso, di fronte a Viana do Castello, nell’estremo nord del Portogallo e a pochi chilometri della frontiera con la Spagna. Un container che conteneva sacchi di pellet era caduto al mare. Giorni dopo alcune spiagge della costa della Galizia sono state ricoperte da uno strato biancastro. Allarme! Subito le autorità locali di vari comuni e molti volontari hanno messo mano all’opera per raccogliere quello strano materiale molto difficile da gestire. È passato un mese e ora siamo al punto in cui la notizia è girata dal problema ecologico alla ricerca dei responsabili. E mentre le implicazioni politiche non mancano: tra il governo centrale della Spagna (socialista) e quello autonomo della Galizia (conservatore) c’è uno scambio di accuse per non essere intervenuti prima. Per la gente che abita quelle spiagge, è un amaro ricordo dell’incidente del Prestige, accaduto nel 2002, che lasciò la costa gallega annerita da tonnellate di resti quasi solidi di petrolio.
D’altra parte, sarà complesso determinare le responsabilità di questo incidente, probabilmente dovuto al cattivo tempo. Alcune informazioni, ancora imprecise, parlano di una nave chiamata Toconao, bandiera della Liberia, armatore una società delle Bermuda controllata da una grande compagnia con sede a Cipro e di proprietà di un armatore tedesco. Altre informazioni puntano sulla più grande compagnia di trasporti marittimi del pianeta, Maersk, che il 22 dicembre ha avuto un altro incidente al largo della costa settentrionale della Danimarca, con una nave che ha perso oltre una quarantina di container provocando un disastro ambientale sulla costa danese, ancora oggi disseminata di siringhe, ruote di carriole, scarpe e grandi elettrodomestici.
Questo tipo di incidenti e la loro frequenza mettono tanti punti interrogativi su come l’uomo cerca di dominare l’ambiente che lo circonda e sui modi di sviluppare il commercio internazionale. L’inquietante domanda è se sia lecito trasportare certe merci così come oggi si fa, senza sufficienti accorgimenti per evitare pericolosi disastri ambientali.
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