Lincertezza assoluta
I proclami sono all’ordine del giorno nell’Egitto post-rivoluzione. Così entrambi i candidati, Morsi dei Fratelli musulmani e Shafik appoggiato dall’esercito, hanno dichiarato di essere i vincitori delle elezioni presidenziali appena concluse nel Paese. Morsi addirittura parla di un 69 per cento di preferenze che si sarebbero concentrate sulla sua persona. In realtà queste dichiarazioni fanno parte della solita propaganda, che tiene poco conto della realtà dei fatti. Fatti che indicano come le operazioni di scrutinio siano ancora in corso, e che prima di giovedì, o almeno mercoledì, sarà difficile avere i risultati effettivi della consultazione.
Sta di fatto che il pallino è ancora e sempre più in mano dell’esercito, che dopo la dissoluzione del Parlamento ha in realtà la possibilità di decidere dove andrà l’Egitto. «In assenza di un Parlamento eletto, il potere legislativo e le finanze pubbliche debbono restare in mano ai militari», hanno indicato ieri i portavoce dell’esercito.
È una lunga storia, iniziata nel 1952 e che ora sembra di nuovo ripetersi, anche dopo la rivoluzione di piazza Tahrir e la condanna del precedente presidente, Hosni Mubarak, anch’egli ufficiale dell’esercito. I militari arriveranno anche a modificare la Costituzione pur di non lasciare il potere. Taluni sostengono che l’esercito abbia siglato un patto con i Fratelli musulmani per una spartizione del potere: questo spiegherebbe le scarse reazioni di questi ultimi per l’annullamento dei risultati delle elezioni parlamentari. Mentre i ragazzi della rivoluzione in massima parte sembrano ormai essere totalmente disillusi: pochi di loro hanno votato, e pochi paiono fiduciosi sul futuro del Paese.
Più di questo è difficile dire in questo caldissimo lunedì che vede il Paese risvegliarsi dalla lunga transizione, senza avere ancora nessuna certezza.