L’incantesimo della bella Thailandia è finito?
Forse non ci siamo accorti, in questo periodo di ferie, delle bombe esplose, e di alcune rimaste inesplose, in Thailandia, che hanno procurato 4 morti e circa 35 feriti, tra cui anche degli italiani. Una perdita su tanti fronti: economico, non indifferente, di immagine per il Paese, e a livello umano, che è indubbiamente, il più importante e grave. Notizie che hanno fatto il giro del mondo, ma che non hanno toccato l’enorme numero di presenze straniere ancora sul territorio della Thailandia: alcuni turisti intervistati al centro di Bangkok, ignari di quanto stava succedendo, sono stati avvertiti dalle telefonate arrivate dai parenti in Italia . Si parla ormai di un flusso di circa 30 milioni di stranieri che in un anno arrivano nella terra degli uomini liberi, o come si usa dire “Il paese del bengodi”. Così sembra la Thailandia. Già in un mio articolo “Thailandia: refugium peccatorum dell’Asia” ho parlato di cosa stava e tuttora sta accadendo in quella bella nazione, divenuta il ricettacolo della malavita internazionale, purtroppo. Perciò, una fetta positiva e molto importante dell’economia Thai viene proprio dal turismo.
Forse è qui una delle chiavi del mistero delle bombe, nel giorno in cui tutto il Paese celebrava l’amata Somdet Phra Nang Chao Sirikit Phra Borommarachininat, ovvero la regina. Un giorno molto sentito da tutti i thai, un giorno di festa nazionale, di celebrazioni, parate militari, maratone e quant’altro in onore della regina. Perciò, colpire proprio in quel giorno a soli 199 chilometri da Bangkok, la città di Hua Hin (dov’è situata la sede della coppia reale), e poi le città di Trang, Puket, Surathani, Phangnga, Krabi, Nakhon Si Thammarat, (tutte nel sud del Paese), vuol dire colpire tutto il Paese e lanciare un segnale chiaro: «Ci siamo anche noi!».
Sì ma… chi sono costoro? Due le reazioni ed i commenti di rilievo: quello dei militari, che pochi giorni prima hanno vinto il referendum sulla (loro) nuova costituzione e che hanno subito attribuito la responsabilità all’opposizione, al nemico di sempre, Taksin Shinawatra, in esilio, ufficialmente, nel Medio Oriente. Dall’altro lato il corpo di polizia nazionale, dopo un’analisi attenta degli ordigni inesplosi, dei frammenti di quelli saltati in aria e delle informazioni raccolte sul territorio, ha dichiarato, attraverso i suoi massimi rappresentanti, che c’è una chiara connessione tra gli attentati dell’estremo sud, dei separatisti (che chiedono 3 provincie autonome, Yala, Pattani e Narathiwat per iniziare “uno stato islamico”) e gli attacchi del 12 agosto. Sembra che alle esplosioni sia legato un cellulare dalnumero malesiano, e questa è una prima traccia molto importante, come anche un incontro, da fonti dei serivizi segreti, che sarebbe avvenuto tra i terroristi alla fine di luglio, in una località del sud, per la pianificazione degli attentanti. Lo scopo degli attentati è quello di dimostrare a tutto il Paese la questione della minoranza musulmana che rivendica una propria identità e posizione nella società Thai: una posizione, sembra, promessa per l’appoggio di queste comunità al movimento democratico ed ai militari, contro il governo di Taksin Shinawatra.
Le bombe del 12 agosto dimostrano chiaramente che la possibilità di colpire si è avvicinata alla capitale, a Bangkok, che con la sua atmosfera incantata è per il secondo anno la preferita destinazione turistica del mondo. Un conflitto nel sud del Paese che va avanti dal 1948 e che ha visto, a fasi alterne, momenti di forti scontri, con un numero totale di morti ad oggi, che si aggira intorno a 6.500 persone, con più di 12.000 feriti: ebbene questo non è più ristretto solo all’estremo sud, ma ormai la mano invisibile del terrore dice: «Possiamo colpire dove, come e quando vogliamo, Bangkok compresa».
Il sogno di una Thailandia come il paradiso terrestre del turismo è del tutto sfumato?
La Thailandia sembra che faccia sempre più fatica a trovare un cammino verso l’unità che porti sostanziali frutti, forse proprio perché si è allontanata da un vero dialogo democratico. La storia ce lo dice: la stabilità e la pace politica non si raggiungono demonizzando l’avversario e tutto quanto ha fatto; non inviando soldati e truppe per aggiungere terrore al terrore; la pace non si raggiunge “ipnotizzando” la popolazione con un consumismo sfrenato, col sogno che lo sviluppo sia solo economico (sempre per pochi fortunati) dimenticando i poveri. La politica è “l’amore degli amori”, come diceva Chiara Lubich, perché serve tutti; è anche una difficile arte, che i governi devono imparare ad esercitare: ascoltare l’avversario, spender tempo ed energie con le trattative di pace, con la mediazione. Direi che l’unità è la chiamata per la Thailandia, in un periodo che non è certo dei più facili, nella sua storia. E guardando al futuro sembra non si preannunci niente di facile.