Lina Wertmuller, ci lascia un’altra icona del cinema
Gli amici hanno comunicato che Lina si è spenta a Roma, dove era nata 93 fa. Ironica, intelligente, senza paure, figlia di un aristocratico lucano di antiche origini svizzere e di una romana, cacciata da ragazza da ben undici scuole – come ricordava, pungente – Lina a diciassette anni studia teatro, lavora con le marionette, e poi si lancia con celebri registi teatrali come la coppia Garinei-Giovannini. Finchè è lei stessa autrice e regista della prima edizione televisiva di Canzonissima e del Giornalino di Gian Burrasca con una esplosiva Rita Pavone, sua grande amica. Collabora con Fellini ne La dolce vita ed 8 e mezzo, poi nel 1963 dirige il suo primo film I basilischi, commedia agrodolce di poveri amici del sud italiano.
L’anima grottesca, amarognola, pungente del suo stile è già qui. Negli anni Settanta esplode con una serie di lavori dai titoli lunghissimi come Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972), Pasqualino settebellezze (1976) – che ha successo anche negli Usa – candidato per ben tre Oscar nel 1977 in una lunga collaborazione con l’attore Giancarlo Giannini, che le deve la carriera.
Implacabile sul set, indifferente di essere una regista donna, libera da pregiudizi, affronta con ironia, sarcasmo, e passione i ruoli sociali dell’uomo e della donna in una Italia che cambia, nel dialogo eterno fra Nord e Sud, tra borghesia e proletariato – era chiaramente socialista -, dipingendo il Belpaese anche in modo assurdo, appuntito, ma divertito in 23 film, in cui riesce a coinvolgere anche Sophia Loren. Intelligente e a suo modo commovente il suo Io speriamo che me la cavo con un grande Paolo Villaggio.
Nel 2020 riceve l’Oscar onorario, dopo una lunga serie di premi, lei che si è divertita a provocare, a scardinare con coraggio le regole politiche e sociali con la sua arma, la cinepresa. In definitiva, una ribelle geniale, divertita e divertente.