L’impresa parte integrante della società
Caro Direttore,
stiamo attraversando la crisi più grave della Repubblica, ma i momenti di crisi hanno storicamente generato grandi opportunità. Oggi siamo chiamati, per la pandemia che ancora ci affligge, a nuove responsabilità personali e sociali. Gli ambiti di riflessione e ragionamento, in questo tempo difficile e doloroso, sono quelli dell’economia e dei sistemi sanitari, del lavoro e dello sviluppo sostenibile, del green e della digitalizzazione.
Sono temi che già, da giovane studente universitario, attraevano la mia attenzione e che mi avrebbero condotto, nei primi anni ’90 del secolo scorso, all’incontro con il mondo dell’Economia Civile e dell’Economia di Comunione.
Ho avuto, dunque, la straordinaria possibilità di comprendere come il contrasto alla povertà, alla massimizzazione del profitto, all’inquinamento, agli scarti, al ricatto dell’acqua dovessero essere condivisi a livello mondiale. Una progressione naturale che mette al centro concetti e valori imprescindibili dell’esistenza quali la centralità della persona, la sussidiarietà, la reciprocità, il bene comune declinati in armonia con la Terra nostra casa comune.
L’esperienza, poi, che mi vede impegnato come uomo politico e di governo, mi impone pragmatismo e concretezza nella traduzione dei fondamenti dell’etica in economia e finanza in azioni sociali per il benessere e la felicità di territori e comunità. Oggi tutto questo appare tutt’altro che scontato e necessita di maggiori energie e di una accelerazione verso il concetto ampio di un’economia sociale nel segno di una welfare society.
Per questo, anche come Ministero delle Politiche Sociali e del Lavoro, stiamo ragionando su nuovi paradigmi di modelli economici come la Terza Economia, che intende l’impresa come parte integrante della società, non come un’entità avulsa, ma in cui i bisogni dei cittadini e delle comunità pesano quanto le richieste degli azionisti; in cui l’imprenditore indirizza la mission (priva di pensieri di mera filantropia), non soltanto verso il raggiungimento degli obiettivi di profitto, ma al welfare di comunità.
O modelli come l’economia collaborativa (sharing economy), che secondo il parere di iniziativa del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il consumo collaborativo o partecipativo: un modello di sviluppo sostenibile per il XXI secolo, intendono quelle attività di produzione e scambio, riconducibili alla «maniera tradizionale di condividere, scambiare, prestare, affittare e regalare, ridefinita attraverso la tecnologia moderna e le comunità».
Tutto ciò può essere realizzato solo attraverso il dialogo e l’inclusione di fragilità e abilità, vulnerabilità e capacità. Ciascuna persona deve contare in un legame di fiducia con uno Stato che tuteli e garantisca i diritti imprescindibili quali salute e cura, lavoro e qualità della vita. I sacrifici richiesti in questi mesi sono la testimonianza di come l’economia debba accordarsi con la vita, arrestando logiche di massimizzazione del profitto e adeguandosi, specie nella produzione di beni e servizi, ai bisogni reali della persona e non a quelli indotti per mera speculazione.
L’Italia ha, in questo, dato prova delle sue vocazioni più profonde al senso identitario della solidarietà e del volontariato comprendendo il valore del sacrificio imposto dalle misure adottate per arginare i rischi e le conseguenze della pandemia. Le politiche europee stanno dando merito ad una tradizione storica nel diritto e nella responsabilità sociale che nel nostro paese ha spinto, nei periodi di maggiori crisi, verso i percorsi di rinascita più virtuosa.
Il primo dicembre scorso è, inoltre, iniziato il mandato di turno alla presidenza del G20. Una straordinaria opportunità per noi italiani di narrazione e costruzione di un agire condiviso, oltre le etnie e le geografie, per un concetto rinnovato dell’abitare la Terra. Inviteremo i paesi più progrediti del mondo ad assumere come guida il principio che nessuno si salva da solo e che l’unica economia possibile è quella che opera nell’etica.
In un pensiero circolare riporto il mio ragionamento allo scenario politico italiano e, come doverosa riflessione, ritengo che l’unico interesse da perseguire sia quello comunitario senza personalismi ed egocentrismi. È il momento di trovare unità per utilizzare al meglio le risorse che arriveranno dal recovery fund per investimenti ora assolutamente necessari. I tagli alla sanità della spending review degli anni passati hanno drammaticamente reso l’assistenza e le cure insufficienti o, per molti territori, inesistenti.
Le politiche attive del lavoro hanno bisogno di consolidare agenzie, servizi e osservatori che diano supporto a formazione continua e incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro. Ci sono riforme da completare o da migliorare e perfezionare. Penso alle garanzie sul reddito e sulle pensioni per ciascuna persona e a nuovi strumenti che favoriscano il lavoro senza il prezzo dello spopolamento di grandi aree. Luoghi ricchi di storia e di tradizioni che possono ritornare ad essere splendide occasioni di sviluppo.
C’è un compito evolutivo da portare a termine fino in fondo per noi e, soprattutto, per le future generazioni: co-progettare sostenibilità per lo sviluppo in un tempo che ridia respiro e quindi vita alla Terra e a tutti i suoi abitanti.