L’impotenza apocalittica di Dio. Sergio Quinzio e il “cristianesimo della fine”
L'articolo presenta il nucleo incandescente dell'opera di Sergio Quinzio attraverso i due concetti fondamentali che lo animano: apocalisse e impotenza di Dio. Se quest'ultima denota la debolezza e la sconfitta di Dio – sconfitta perché la Sua promessa non è stata realizzata – la prima indica, seguendo l'etimologia greca del termine, l'uscire dal nascondimento di Dio, il Suo rivelarsi completamente; ma anche – e forse soprattutto – il riscatto dalla debolezza e dall'impotenza nella quale, ora, Dio è costretto a muoversi. Fortissimo allora il legame tra questi due lemmi in Quinzio, a nostro avviso semanticamente indiscernibili e comprensibili solo se inseriti in una sorta di “circolarità ermeneutica”: impotenza apocalittica di Dio e apocalisse impotente di Dio. La prima parte dell'articolo è dedicata a l'impotentia Dei. Muovendoci dal dato scritturale della rivelazione abbiamo individuato tre momenti che condurrebbero all'abdicazione della potenza di Dio: la creazione del mondo, l'incarnazione del Figlio e la Sua morte in Croce. Subito dopo segue un paragrafo dedicato al problematico rapporto tra cristianesimo e le due “bestie anticristiche” che oggi dominano il mondo: nichilismo e tecnica. Inevitabile a questo proposito un riferimento al pensiero di Emanuele Severino. Abbiamo indicato quindi le interessanti convergenze e gli “incolmabili abissi” tra il filosofo bresciano e il nostro autore. La seconda parte, invece, tratta specificamente il tema dell’apocalisse e presenta, parallelamente a quanto fatto nella prima, la regula fidei “di Quinzio”, la sua interpretazione scritturale. Un'apocalisse che risulterebbe essere, come il Dio del quale sarà rivelazione, impotente: porterebbe salvezza ma non redenzione dal male. Questo insistere sull'impossibile redenzione dal male avvicina Quinzio a una delle espressioni più alte della riflessione apocalittica moderna, Fëdor Dostoevskij. Medesimo il thaùma, il “tremendo meraviglioso” che muove ed agita queste due voci: l'inestinguibilità del male e del dolore. Nel realizzare il confronto abbiamo insistito in particolare su Aljòša Karamazov, dramatis personae di Dostoevskij nel romanzo dedicato alla saga dell'omonima famiglia.