L’importanza della storia come bene comune
La mattina del 27 gennaio scorso, mentre mi recavo in un liceo delle mie parti a parlare di Memoria, il mio sguardo fu attratto da un manifesto sul quale era semplicemente scritto: Shoah, Perché il ricordo alimenti la memoria dell’essere umanità. Decisi, seduta stante, di cominciare il mio intervento –ma anche i successivi due previsti per quella data del calendario civile – commentando, una per una, le parole di quel manifesto. Mi offrirono infatti, quelle parole, la sintesi più immediata e viva, per poter racchiudere il senso di un evento che rischia di diventare (o forse lo è già diventato) abituale, routinario, ripetitivo, senza sangue e senza passione.
Dissi subito, allora, a chi era interessato alle mie parole, che avrei cambiato la mia vita mille volte se avessi potuto difendere gli indiani sulle sponde del fiume Sand Creek o se avessi potuto essere compagno di coraggio e di paura nelle notti dei partigiani sulle montagne.
Ancora l’altra mattina e l’altra sera (ma come in ogni altra simile occasione) tutti dicevano che ci sarebbe stato bisogno, per esempio, di un gesto di umanità nei confronti di tutta la povera gente che viene da lontano. Però, a parte questo (il gesto di umanità!), dicevano anche che aveva fatto bene chi, dalle stanze del governo, non li aveva fatti sbarcare. L’Italia finalmente si stava facendo rispettare! Era ora. Mica siamo gli ultimi del mondo!
Lo confesso. Si ingigantì in me la necessità di parlare con più forza del valore della Memoria; di smontare l’inutilità e l’abuso di un’espressione quale “bisogna trasmettere la memoria”; di continuare a interrogare (e fare interrogare) il passato con gli occhi del presente. Fu il mio modo di educare parlando del dopo Auschwitz; divenne il mio modo di oppormi e di educare ad opporsi alle discriminazioni, alle intolleranze, alla violenza.
Volevo e voglio così, fortemente, tentare di conservare in vita chi è scomparso. Volevo e voglio cercare di non far dimenticare ed instaurare un patto tra le generazioni. Volevo e voglio continuare a credere (e battermi per) in una politica di Stato che non si trasformi in politica di assassinio. E lo voglio ogni giorno di più, specie oggi che sta scomparendo una generazione di testimoni con propria autorappresentazione, ma non per questo si stanno cancellando i nodi legati agli avvenimenti. Senza incorrere, in ogni caso, nel feticismo della Memoria (la pietà che emerge da una commemorazione), nell’amnesia collettiva della Memoria (dovuto alle scarse conoscenze, al poco studio e a un dibattito pubblico del tutto assente), se non addirittura nell’uso politico della Memoria (che è uguale all’uso politico della Storia: la Shoah è di sinistra e le Foibe sono di destra).
E, poi, da Roma, come per miracolo, proprio nel giorno della Memoria, giunse l’annuncio da parte del Ministro dell’Istruzione del battesimo di una commissione “che faccia proposte per dare importanza alla storia come bene comune”.
Un bene comune appartiene a tutti. La storia-bene comune, allora, deve diventare non solo dovere per chi studia, ma – e soprattutto – diritto per ogni componente una comunità; deve diventare anche indirizzo di senso, collante della società, solida impalcatura per costruire il futuro. Per cui la Giornata della Memoria, attraverso le stesse parole del Ministro, non deve servire a rappresentare “l’emozione retorica concentrata in 24 ore. Serve, invece, la conoscenza ogni giorno dell’anno, come risposta al riaffacciarsi dell’odio, del negazionismo e dell’indifferenza”.
L’imperativo, perciò, è – oggi ed ogni giorno a venire – continuare a tenere viva la Memoria. Che è traduzione di continuare a parlare di futuro, di costruire, di tenere uno sguardo sul domani. Ancor di più, oggi, quando l’utile conformismo (a un pensiero dominante) intende mostrare i muscoli, innalzare case con finestre aperte solo nei propri giardini, tenere in vita una gerarchia delle razze, sopravvivere educando ad una mobilitazione permanente per qualcosa/qualcuno e contro qualcosa/qualcuno, ignorando ancora una volta il vaticinio di dolore di Primo Levi: “Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia. Sarebbe sciocco negarlo”.
Insomma, utilizzare ogni segmento di sapere per poter essere umanità, una condizione che necessita – sì – di ricerche, di scoperte, di tecnologie, di curiosità ma, soprattutto, di conoscenze, cultura, educazione, solidarietà, senso di appartenenza, passione e sangue. In modo da non continuare a vivere schiacciati sul presente (segno dominante del Novecento) ma, dalle narrazioni e dai ricordi, poter affermare, con intelligenza e conoscenze, che Memoria significa l’oggi, significa il futuro.