L’importanza del corpo nella relazione educativa
La DAD (didattica a distanza) in condizione di distanziamento fisico, forzato e prolungato ha consentito in questi mesi alla scuola di andare avanti, offrendo agli alunni la possibilità di proseguire nel percorso formativo che era stato pensato per loro, sia pure con inevitabili adattamenti.
La DAD ci ha fatto però anche un altro favore: ci ha presentato i suoi limiti. Ci ha ricordato che la scuola non è solo un pur importantissimo luogo di elaborazione e costruzione di conoscenze, ma che è anche un sistema sociale, un universo in cui le persone si incontrano e si confrontano ed in cui hanno un ruolo centrale comunicazioni, relazioni, emozioni, direzioni dello sguardo, movimenti fisici in uno spazio fisico.
Ciò che la DAD non può e non potrà mai dare è soprattutto questo: tutta la dimensione dell’implicito che sottende e sostanzia i rapporti umani e quindi anche, ed in modo particolare, quelli educativi.
Stiamo parlando di ciò che si esprime anche nei piccoli e periferici movimenti di un sopracciglio o di un angolo della bocca, nella gestione dello spazio di prossimità con gli altri, nel colore e nell’intensità dello sguardo, in tutto quel sistema di microcomunicazioni che le parole non dicono e non sanno dire (questo dovrebbe essere l’impervio lavoro dei poeti).
Questi mesi di DAD ci hanno ricordato, o fatto meglio comprendere, che la corporeità, nella sua peculiarità ma anche nella sua strettissima unità con la mente, non è una dimensione accessoria nel campo delle relazioni interpersonali e non può pertato essere estromessa o sottovalutata dalla scuola, sulla base di pregiudizi cartesiani che tanto ancora pesano negli assunti come nelle prassi della nostra cultura formativa ed educativa. Dove il corpo trova ancora, appunto, pochissimo spazio.
Una buona o cattiva relazione educativa si basa molto spesso, più che sulle parole dette, proprio su questi meccanismi più profondi e meno visibili, i quali lasciano tuttavia tracce durevoli nella memoria umana. Se c’è un canale che dice, comunica e a voltre “tradisce” il nostro pensiero più profondo, anche quello che non vorremmo comunicare o che perfino non sappiamo di “ospitare”, quello è soprattutto il corpo. Le parole possono molto più facilmente essere “accomodate” all’occorrenza.
Non è certo un caso se, in una comunicazione ambigua, in cui il verbale ed il non verbale sembrano contraddirsi, tendiamo a fidarci di più del non verbale. Per questo diventa così importante imparare ad educare innanzitutto il proprio pensiero e le proprie credenze e assunti di fondo, perché non si può non trasmettere agli altri ciò che realmente si pensa di loro.
Il giudizio nei confronti di qualcuno, ad esempio, anche se ci asteniamo dal formularlo verbalmente, lo comunichiamo “inevitabilmente”, attraverso i mille canali espressivi della corporeità. Canali che nessun pur eccelso attore potrebbe riuscire a governare contemporanemente.
Anche per questo motivo, questo periodo di didattica distanziata sembra confermare un dato già espresso dai futurologi. Diverse figure professionali possono già ora o a breve essere “sostituite” da un computer o un robot, ma difficilmente potrà esserlo un vero insegnante, un insegnante che sia cioè anche un educatore e quindi un testimone, con la propria vita concreta, dei principi che professa. La complessità e l’ingovernabilità dell’implicito mette infatti sotto scacco qualunque tentativo di sistematizzare e digitalizzare la comunicazione e la relazione educativa.
A settembre si tornerà a scuola, si spera. Ma forse lo si farà con una voglia aggiuntiva, da parte di tutti, di riattivare quella specie di strana “danza” della comunicazione implicita in cui si esprimono, volenti o nolenti, i corpi degli esseri umani quando si incontrano. Quella ineffabile “danza dell’implicito” che tanto ci è mancata e che nulla potrà mai realmente sostituire.