L’impennata dei prezzi

Un mercato rionale assai vasto e sempre ben fornito, ed un supermercato appartenente ad una grossa catena di distribuzione alimentare si fanno concorrenza nel quartiere romano dove abito. La capitale è notoriamente meno cara di molte altre città piccole e grandi. Ci riteniamo privilegiati, perché vengono a fare spesa qui anche da lontano. L’equilibrio fra i prezzi praticati ha consentito sempre scelte oculate e vantaggiose per i consumatori. Ma in questi giorni il mercato sembrava un formicaio impazzito. La gente girava fra i banchi senza decidersi a scegliere. I prezzi, già altissimi, erano saliti ancora: alcuni prodotti addirittura del 100 per cento. Ogni statistica racconta la propria verità. Mediamente oggi si parla di un rincaro che supera il 30 per cento negli ortaggi e il 15 per cento nella frutta. Quel giorno, diverse bancarelle non esponevano neppure i cartellini prescritti con prezzo e provenienza della merce. Alla richiesta di un vigile urbano che invitava un gestore ad adempiere a quest’obbligo, ho udito rispondere: “Ma se leggono il prezzo nessuno compra più niente”. Nel supermercato c’era sì meno scompiglio, ma la gente sostava a lungo perplessa davanti agli scaffali prima di decidersi a fare la propria scelta. Alle casse, i carrelli in uscita apparivano meno colmi del solito. So bene che parlo di cose arcinote su cui si discute da tempo. Cosa sia successo questa estate non è certo un mistero, perché l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle, arroventata dalla gran calura; e li abbiamo visti con i nostri occhi i grandi fiumi in secca, i campi bruciati dal sole, i raccolti andati perduti. E i prodotti della terra sono schizzati alle stelle. La polemica sui prezzi è una costante stagionale. Al rientro dalle ferie si ripresenta puntualmente con gli altrettanto puntualissimi rincari dei generi di prima necessità. Fra questi, frutta e verdura che caratterizzano da sempre piacevolmente la nostra dieta estiva. C’è abbondanza di questi prodotti nel nostro paese, o meglio, c’è stata sempre, per noi e per gli altri, tant’è che l’ortofrutta ha costituito per decenni una delle principali voci della nostra esportazione. Ora non più. Altri paesi hanno imparato quest’arte e possono produrre a prezzi inferiori.Tuttavia la lunga esperienza e l’inventiva sempre fervida hanno modellato il settore sul metro delle nuove esigenze dei mercati. Si può dunque riconoscere che, in presenza di una maggiore concorrenza, dovrebbe risultare maggiormente favorito il consumatore. Oggi arriva frutta dalla Spagna, dal Medio Oriente, dal Nord Africa e dal Cile, per non parlare dell’invasione delle banane. A dire il vero, il primo sussulto dei prezzi si era verificato già con l’avvento dell’euro. Dell’impatto psicologico negativo prodotto dal cambio con la lira si è a lungo discusso. Senza tuttavia andare al di là delle proposte per ridurne le conseguenze sull’inflazione. Oggi, davanti ai nuovi rincari vertiginosi, la polemica ferve fra produttori e commercianti, che si rimpallano la responsabilità di avere profittato della contingenza del calo di produzione causato dalle calamità naturali (gelate primaverili, siccità estiva, e poi grandine e nubifragi) per fare lievitare i prezzi, in totale assenza di interventi calmieratori governativi. Si può capire come la gente un mercato siffatto non lo definisca più libero, ma selvaggio. Forse è tempo che, pur davanti agli innegabili vantaggi che la nuova dimensione europea promette, e in cui ancora vogliamo credere, si pretendano nuove riflessioni. E provvedimenti appropriati. L’inflazione sta falcidiando i redditi da lavoro e le pensioni più basse. Sindacati e Confindustria, per una volta d’accordo, chiedono al governo di aprire un tavolo di lavoro per affrontare e sciogliere il nodo dei prezzi.A cominciare – propone la Cisl – dal ripristino di una politica dei redditi che riconduca non solo gli aumenti, ma anche le tariffe all’indice di inflazione programmato. E per raffreddare i prezzi? I produttori chiedono di ridurre i troppi intermediari. I commercianti temono interventi dall’alto e parlano di un patto d’onore. La Confesercenti di Milano accenna alla possibilità di bloccare i prezzi per dodici mesi. Ma su quali basi? Non certo quelle attuali. Perché queste parole trovino conferma nei fatti, serviranno più determinazione e onestà negli operatori del settore e maggiore volontà d’intervento negli organi di controllo, di quelle mostrate finora. O a rimetterci saranno ancora le fasce meno protette dei consumatori.

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