L’impegno di Narges Mohammadi premiato col Nobel per la Pace

L'attivista è stata premiata per «la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la sua lotta per promuovere i diritti umani e la libertà», in un contesto di inasprimento delle guerre e di un nuovo caso di violenza in Iran contro una donna senza velo.
Narges Mohammadi, premio Nobel per la Pace 2023, foto AP

Dalla prigione di Evin a Teheran, l’ingegnera, attivista e giornalista Narges Mohammadi è diventata la vincitrice del Premio Nobel per la Pace 2023 per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e il suo impegno nel promuovere i diritti umani e la libertà per tutti.

A un anno e qualche settimana dalla morte di Mahsa Amini, giovane iraniana detenuta dalla polizia morale ed assassinata brutalmente per non aver indossato correttamente il velo, lo slogan dei manifestanti “donne, vita, libertà” è arrivato a Oslo, sede del premio ideato da Alfred Nobel.

L’ha pronunciato Berit Reiss-Andersen, presidente del comitato norvegese composto da 5 membri eletti dal Parlamento, prima di annunciare a chi avevano scelto di assegnare il premio per il suo contributo alla pace mondiale. Una decisione che, ha sottolineato Reiss-Andersen, «è in primo luogo e soprattutto un riconoscimento a un intero movimento in Iran di cui Mohammadi è leader indiscussa».

Mohammadi ha dedicato la sua vita a difendere i diritti umani, ha denunciato le centinaia di casi di tortura e violenza sessuale che soprattutto le donne subiscono in prigione, si è opposta all’uso obbligatorio del velo e alla pena di morte, e ha espresso il suo sostegno al popolo manifestante. Questa scelta contro le posizioni del governo l’ha portata a trascorrere diversi periodi in prigione, sin dal 1998, per “reati contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro il sistema”. In tutto, Mohammadi è stata arrestata dal regime in 13 occasioni, condannata a 31 anni di carcere e a 154 frustate.

Oggi l’attivista iraniana ha 51 anni e sconta la sua condanna nella prigione di Teheran. Il processo si è svolto nel pieno delle proteste dopo la morte di Mahsa Amini, è durato appena 5 minuti e Mohammadi non ha avuto l’assistenza di un avvocato. Per protestare per l’ingiustizia subita, la giornalista ha deciso di non fare appello contro la sentenza. Per conto suo, Amnesty International denuncia torture e maltrattamenti ai quali le autorità giudiziarie iraniane hanno sottoposto Narges Mohammadi, alla quale è stata negata assistenza medica adeguata nonostante diversi attacchi di cuore e una malattia simile all’epilessia.

Dal carcere Mohammadi, già vicepresidente del Centro per la difesa dei Diritti umani, fondato dall’iraniana Shirin Ebadi – la prima donna musulmana premio Nobel per la Pace –, ha continuato a denunciare le violazioni sistemiche dei diritti umani commesse dalle autorità iraniane, a organizzare sit-in e supportare le proteste civili, cosa che ha dovuto pagare con l’isolamento carcerario. Tuttavia, è riuscita a pubblicare di nascosto un articolo sul New York Times in occasione dell’anniversario dell’uccisione di Mahsa Amini, e ha reagito alla notizia della premiazione affermando: «Il sostegno globale e il riconoscimento della mia difesa dei diritti umani mi rendono più risoluta, più responsabile, più appassionata e più fiduciosa. Spero anche che questo riconoscimento renda gli iraniani che protestano per il cambiamento più forti e più organizzati. La vittoria è vicina».

Da 8 anni, Mohammadi non ha più visto i due figli, in esilio in Francia insieme a suo marito Taghi Rahmani, scrittore e attivista a sua volta incarcerato per 14 anni fino al 2012 per difendere i valori di libertà, democrazia e diritti umani. «Il Nobel è anche un premio per tutti gli uomini e le donne che lottano sotto lo slogan “donna, vita, libertà”. Le loro voci non saranno mai messe a tacere», ha dichiarato Rahmani.

Con l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2023 a Narges Mohammadi, il comitato lancia un messaggio al governo iraniano affinché «ascolti il proprio popolo», e avverte: «Se le autorità iraniane prenderanno la giusta decisione la rilasceranno perché possa essere qui per ritirare il premio a dicembre». Il governo iraniano non ha colto di buon grado la decisione del comitato norvegese, giudicandola «faziosa e politica», e un’imposizione dell’Occidente sul Paese.

Da parte sua, la portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Elizabeth Throssell ha dichiarato che «questo premio riconosce veramente il coraggio e la determinazione delle donne in Iran, che sono un’ispirazione per tutto il mondo». Anche molti leader politici internazionali hanno voluto congratularsi con la vincitrice con messaggi via social. La premier italiana Giorgia Meloni ha voluto mettere in rilievo l’impegno delle donne iraniane nella difesa della libertà e dei loro diritti e ha sottolineato che «l’Italia sarà sempre al fianco delle donne per il rispetto dei diritti fondamentali e della libertà».

Il riconoscimento del Nobel a Mohammadi per la sua battaglia per la libertà e i diritti delle donne, e a tutte le donne iraniane in una lotta che da oltre un anno risuona con forza accompagnata da “Bella Ciao” in farsi come manifesto, arriva paradossalmente in contemporanea ad un nuovo caso di probabile aggressione da parte della polizia morale iraniana. La vittima si chiama Armita Geravand: 16enne, si trova in coma dopo aver subito una frattura del cranio mentre provava a salire insieme alle sue amiche sulla metro di Teheran; anche lei non indossava l’hijab.

Come ogni anno, la consegna del Premio Nobel per la Pace è prevista per il 10 dicembre, Giornata Mondiale dei Diritti Umani. Una pace che in un contesto crescente di guerre al quale si aggiunge adesso il conflitto tra Hamas e Israele si presenta tanto desiderata quanto utopica. Intanto però continuiamo a fare la nostra parte per contrastare l’odio con il dialogo, l’amore e la promozione della libertà, l’uguaglianza e i diritti umani universali.

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