L’immortalità nella scienza e nella fede religiosa
La lettura della Passione di Gesù di Nazaret, narrata con il realismo unico dei Vangeli canonici, un realismo genuino, vivido e che va subito al cuore del lettore, risulta sempre impressionante e non può non lasciare sconcertati e pensosi. La vicenda conclusiva del “Figlio dell’uomo” diventa davvero l’immagine incarnata esemplare della vita storica di ogni creatura che appare e scompare come un lampo nella dimensione universale del tempo e dello spazio.
A partire dall’ingresso glorioso del Cristo a Gerusalemme, celebrato dai seguaci in festa e ricolmi di contentezza. Quale creatura, infatti, specialmente nella sfera umana, emergendo nel fiume della vita, non è potentemente attratta e sedotta dall’armonia dell’essere universale, dalla gioia di vivere, dalla speranza di un futuro sempre più appagante fino al compimento del proprio essere, nella relazione con la natura cosmica e terrestre, nella comunione sociale e civile, nella condivisione delle attese più elevate, nel riconoscimento e nella realizzazione dei valori personali e comuni?
E’ la fase solare e inestirpabile della vita di tutte le creature, quella della fiducia originaria, dell’affidamento connaturato all’essere e agli altri, immediato e prerazionale. Senza tali caratteri strutturali e indipendenti dalla nostra volontà, ma presenti nel codice della natura universale, la vita fisica, biologica e culturale non sarebbe possibile.
Non potrebbe tanto meno esistere una rete di relazioni atomiche e molecolari nell’intimo unitario dell’energia universale, non potrebbe sorgere ed evolversi un sistema nervoso centrale dotato di miliardi di neuroni interconnessi per trasformare l’energia luminosa ed elettrica nella potenza del pensiero e della mente, del linguaggio, della coscienza e del libero arbitrio.
L’ora delle tenebre
Ma la vita di tutte le creature nell’esistenza temporale e storica non è soltanto luce solare, benessere e armonia. Il sublime dell’esistenza e della natura universale si dimostra intimamente legato alla terribilità del vivere (calamità naturali, malattie e malformazioni genetiche, accidenti imprevedibili, crudeltà umane, sofferenze innocenti, infermità, degenerazione senile e morte). Sono le due esperienze antinomiche per eccellenza del vivere. Eppure “complementari” nel tempo e nello spazio, una non può stare senza l’altra, come il carattere “corpuscolare” e “ondulatorio” dell’energia luminosa (i fotoni) e delle altre forme di energia elementare che governano tutte le cose.
E’ l’aspetto più misterioso dell’intera creazione. Una complementarità di armonia e disarmonia nel cuore di tutto ciò che esiste. Ed è il dispiegarsi apparentemente invincibile della “disarmonia”con l’irrompere tumultuoso della malvagità che nella Passione di Gesù viene indicato come “l’ora del male e delle tenebre”.
Il tradimento e la fuga dei seguaci e degli amici più cari (Giuda e Pietro…), il sonno e la lontananza dei più vicini, la solitudine, la tristezza e l’angoscia fino a sudare sangue nel contrasto stridente tra volontà del Padre che permette il male e la morte atroce in croce (leggi universali sovraindiviuali), e la volontà personale di libertà dalla sofferenza immotivata e ingiusta (insulti, sputi, schiaffi, flagellazione, pungente incoronazione di spine), fino allo strazio della croce, nella percezione tremenda di essere abbandonato da tutti, anche da Dio.
Questa si rivela proprio l’esperienza più lacerante della vita di ciascuno di noi, quando tutto sembra scatenarsi oscuramente contro la nostra esistenza fisica e spirituale, che pure intrinsecamente brama il bene e l’armonia nelle sue fibre più segrete e profonde.
L’immortalità
L’esserci e l’evolversi dell’universo e della vita attraverso l’organizzazione crescente fino alla coscienza e alla libertà dell’agire non sono “una bugia” (P. Flores D’Arcais). Che la natura universale, non solo nelle sue forme organizzate visibili, ma anche in quelle invisibili e infinitamente piccole risulti di fatto “intelligibile”, ci offra di continuo “l’incontro con l’inatteso” (J. Polkinghorne), non costituisce “un’allucinazione” della nostra neocorteccia, una costruzione illusoria e marginale del nostro cervello.
Al contrario, rappresenta il punto cruciale della realtà delle cose (Einstein), che richiede una spiegazione e che attrae e affascina la stessa scienza e ogni altra espressione elevata della conoscenza umana. Ecco perché l’idea e la speranza dell’immortalità accompagna la specie umana fin dalla sua comparsa sulla Terra, imprimendo tracce indelebili nelle culture di tutte le epoche.
Tale fatto, collegato oggi con le scoperte scientifiche sull’infinitamente piccolo matematicamente interconnesso e con lo sviluppo delle nanotecnologie informatiche applicate alla biologia molecolare e all’ingegneria genetica, ha riproposto il dibattito sull’immortalità nella stessa scienza.
Ciò che, in alcuni programmi copiosamente finanziati, l’impresa scientifica si accinge a realizzare, con le sue ricerche di frontiera, si riferisce precisamente all’immortalità “fisica” in questo mondo (dicono entro il 2045), in concorrenza spesso polemica con la fede nell’immortalità metafisica e ultraterrena, che si colloca fuori della portata della scienza, ma che non si pone contro la scienza, se rientra addirittura nei disegni possibili della stessa scienza.
Molti ricercatori pertanto, fiduciosi nelle possibilità illimitate della scienza, propensa a spostare sempre più avanti i “limiti” dell’umano naturale e biologico, parlano già dell’imminenza di un mondo “postbiologico”, costruito grazie alla fusione della tecnologia del carbonio (biologia umana) con quella dell’intelligenza artificiale al silicio.
Insomma, l’assemblaggio di una supercreatura in parte organica e in parte meccanica e artificiale, con il trapianto del cervello (oltre cento miliardi di neuroni, ognuno connesso con migliaia di altri neuroni) nell’involucro di un robot, una specie di cyborg antropomorfico dotato di immortalità.
Si possono facilmente immaginare quali saranno per l’intera umanità le conseguenze di carattere psicologico e culturale, sociale ed etico. A questo punto sorge una domanda decisiva: diventa più ragionevole credere nell’immortalità (di pochi e ricchi privilegiati) promessa dalla scienza, fondata inesorabilmente sui limiti della capacità umana, che certo non ha creato l’energia cosmica e le leggi universali, oppure affidarsi alla speranza di una vita eterna per tutti i viventi, responsabilmente edificata sulla fiducia nel Creatore dell’energia e delle leggi universali, che si è rivelato in modo speciale non solo nella Passione e morte di Gesù, ma anche nella sua Resurrezione, primizia di vita nuova e immortale per tutte le creature?