Liliana, dottoressa all’Hotel Ucraina
È un medico internista dell'ospedale maggiore di Kiev, Liliana si chiama. Durante gli scontri in Ucraina, però, si è trasferita nella hall dell'Hotel che domina la Majdan (nella foto). Ecco il suo racconto: «La notte del 18 febbraio ero in ospedale. La città era in fermento e giungevano notizie inquietanti. Io facevo parte dei giovani della Majdan e quindi sono corsa verso i miei amici. Abbiamo cominciato a lavorare, cioè a curare i feriti, sotto i portici, facendo quel che ci era possibile. Cioè pochissimo, solo cure superficiali. Avevamo bisogno di materiale medico, ma anche di locali un po' più riparati. Ad un certo punto qualcuno ci ha suggerito di chiedere ospitalità all'hotel Ucraina, ma lo abbiamo trovato sbarrato. Sono stati i giornalisti presenti all'interno, assieme a qualche turista, ad aprirci le porte. Ed è cominciato un pazzesco andirivieni di barelle, morti e feriti. Io stessa ho dovuto constatare il decesso di 14 persone. C'erano dei feriti gravi, ma non avevamo strumenti per operare. Miracolosamente sono arrivate delle apparecchiature e abbiamo potuto cominciare anche con la chirurgia. Non poca gente è stata così salvata. La prima ambulanza è arrivata solo dopo quattro ore, il che dice quanto la struttura sanitaria fosse solo attenta ai feriti delle forze dell'ordine. Comunque, con l'arrivo delle ambulanze abbiamo potuto cominciare ad evacuare i moribondi, almeno loro. Abbiamo operato in questa hall anche dei soldati, non potevamo fare distinzioni di sorta».
Liliana dà ordini precisi a delle infermiere che hanno sul petto una grossa croce rossa fatta con del nastro adesivo. Continua il suo racconto: «Poi abbiamo trasferito tutti i feriti negli ospedali e ci siamo dedicati ai malanni dei giovani della Majdan. Piccoli problemi, che però dopo tre mesi in piazza possono anche diventare pericolosi. Si tratta di infezioni di vario genere, alimentari, intestinali, polmonari… Ho curato un giovane che aveva un dito ferito dalla scheggia di una granata, a cui non aveva dato peso. Ho dovuto obbligarlo a farsi operare in ospedale, altrimenti in poche ore avremmo dovuto amputarglielo, quel dito. Un altro aveva analoghe ferite ad una gamba. E non si contano ormai le polmoniti o le piaghe dovute al fatto che i giovani e i combattenti non amano lavarsi… Soprattutto i piedi».
Scendiamo sui sentimenti personali. Liliana non nasconde la sua preoccupazione: «La nostra speranza diminuisce, non abbiamo un leader che sappia guidarci con decisione verso la vera libertà. Abbiamo bisogno di un padre, qui in Ucraina! C'è chi dice che non dobbiamo disperare, perché siamo forti, che non abbiamo bisogno di un leader assoluto, che dobbiamo imparare ad essere democratici. Vedremo. Perciò è il tempo di concentrarci sulle piccole cose, di farle bene. Dobbiamo aiutarci nella concretezza di ogni giorno, tutti noi ucraini».
Luda, un’infermiera, protesta contro noi giornalisti perché staremmo ingrandendo la portata delle rivolte pro-russe nell'Est del Paese: «L'Ucraina – dice – vuole restare unita». E racconta di un'anziana signora da lei curata che era giunta da loro con una profondissima ferita da arma da taglio sulla schiena, procuratale da un poliziotto…