L’identità
Se ci si chiede perché una persona possa subire violenza o emarginazione e, in non pochi casi, possa essere persino uccisa da chi neanche la conosce, per ragioni che riguardano i processi di individuazione e di appartenenza, ci si trova di fronte a uno dei conflitti più diffusi nella storia dell’umanità e anche nella nostra contemporaneità: il conflitto di individuazione e appartenenza.
In tutti questi casi siamo di fronte a un conflitto tra percorsi che portano ognuno di noi, in base alla propria storia, a diventare quello che è e allo stesso tempo ad appartenere a un gruppo e a una forma di vita organizzata con le sue regole i suoi valori, i suoi simboli e la sua cultura.
Quei percorsi di individuazione che ci caratterizzano e ci distinguono possono essere più o meno diversi ed essere, allo stesso tempo, alla base del conflitto fra posizioni, che può mettere a confronto l’identità e le forme di cooperazione, di accordo o di violenza, proprio in ragione delle diverse appartenenze.
Le ragioni del conflitto di individuazione e appartenenza possono apparire anche molto futili, ma non per questo essere meno problematiche e produrre esiti spesso particolarmente dolorosi o, comunque, impegnativi da elaborare.
Come confida Amartya Sen nel suo libro Identità e violenza, appena arrivato come studente indiano a Cambridge, nella sua prima interazione con il popolo inglese aveva avuto come scopo cercare di rendere tranquilla la padrona di casa, che temeva che il colore olivastro della pelle del suo inquilino potesse macchiare il bagno. Gli atteggiamenti che noi esseri umani affrontiamo nei confronti delle diverse individuazioni, delle diverse appartenenze, cambiano nel tempo e un ruolo importante in questa direzione ce l’hanno sicuramente l’educazione e la cultura.
Secondo il punto di vista di Sen la presenza dei conflitti di individuazione e appartenenza ci può consentire di riconoscere e affermare la pluralità nell’identità umana. La tendenza alla categorizzazione sulla base di un sistema singolo e onnicomprensivo nega la complessità dei processi di individuazione e gli esiti diversi a seconda dei singoli percorsi. Le dinamiche nel corso del tempo cambiano sistematicamente gli orientamenti individuali e collettivi. La rilevanza del ruolo del conflitto come via per l’affermazione del pluralismo dei processi di individuazione e di appartenenza tocca in primo luogo il concetto stesso di identità. Possiamo scoprire così che non è possibile categorizzare gli individui unicamente in relazione a civiltà, cultura e identità di appartenenza. Questo processo non solo produce una staticità che colloca le persone in una sorta di scatole chiuse non comunicanti tra loro, portando a una perdita nell’apprezzamento della varietà nell’esperienza umana; ma ci conduce anche alla dialettica pace-violenza e mostra come la pace nel mondo contemporaneo possa esistere solo grazie al riconoscimento della pluralità dei legami, dei modi di ragionare e delle azioni che stanno alla base dell’individuazione umana nelle sue molteplici espressioni.
Occupandosi di identità, pare necessario sottoporre a critica una serie di interpretazioni dominanti intorno a questo tema che associa l’identità all’orgoglio, alle forme di separazione dagli altri e all’autoreferenzialità: tutti questi fattori non possono, infatti, che essere all’origine di forme antagonistiche nelle relazioni. La ragione fondamentale è che questi atteggiamenti sono basati su un principio di inclusione ed esclusione. Un’identità condivisa rischia di divenire così motivo di coesione interna ma allo stesso tempo di distanza nei confronti dell’esterno. Tutto ciò non può non generare sentimenti di mutua reciprocità da una parte e di ostentata indifferenza e separazione dall’altra.
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La professione della libertà di pensiero che per molti aspetti coincide con una buona pratica nella gestione del conflitto, è probabilmente la via per evitare la violenza, la separazione e l’esclusione dalla vita. Il movimento della società richiede oggi più che mai una consapevolezza razionale nell’assumere le regole del riconoscimento dell’altro, dell’amare il proprio vicino, per le specifiche differenze di individuazione di cultura e di appartenenza, in quanto la condizione planetaria esige un atteggiamento inedito per la costruzione di una civiltà plurale.
Da Ugo Morelli, Il conflitto generativo, la responsabilità del dialogo contro la globalizzazione dell’indifferenza (Città Nuova, 2014)