Liceali
È ultras, non nasconde le sue simpatie neonaziste. Una notte, vagando per Verona con altri quattro compagni di sventura, picchia a sangue e uccide un giovane reo solo di non aver dato loro una sigaretta e di avere un look da centro sociale. Uno diverso, insomma. Le cronache del giorno hanno detto: è assurdo, chi poteva immaginarlo, viene da una buona famiglia. Soprattutto, è un liceale. Come se questo, l’appartenere alla cerchia stretta di quelli che studiano Cicerone, vanno alle scuole alte come si diceva un tempo, potesse renderlo immune dal diventare eroe del male. Per un giorno, nell’inquietante calderone dei fatti di bullismo, è finito così anche il liceo, la serra che faceva crescere i rampolli della borghesia, segno di distinzione e garanzia di successo sociale. Un coinvolgimento che ha reso più lampante la crisi del sistema scolastico, chiamando tutti a riflettere su quanto stia avvenendo nelle migliori scuole frequentate dai nostri figli. Lì, nelle aule dove nascono amori e vengono ridicolizzati professori, ci porta I liceali, la fiction in sei puntate messa in onda da Canale 5. Tutto ruota attorno alla storia di un maestro dai sani princìpi, memore della lezione di De Amicis (un Giorgio Tirabassi in versione Attimo fuggente), che lascia la provincia per andare a insegnare in un liceo della città. È il suo uno sguardo naïf sul mondo. Il suo candore, la sua naturale generosità viene messa a dura prova da studenti troppo viziati, perennemente soli, senza famiglie alle spalle, violenti per reazione, svogliati e arroganti per scelta. Giovani capaci di sollevarsi tre metri sopra il cielo solo quando di mezzo c’è un amore fugace, una cotta da vivere come in un film, alla maniera degli eroi mocciosi (nel senso di Moccia): dichiarandosi amore eterno con un lucchetto, e buttando la chiave sul fondo limaccioso del Tevere. La fiction, che ha il passo della commedia e attinge a piene mani anche dall’attua lità, non nasconde il suo intento ecumenico: tratteggiando una minuziosa (e quasi esaustiva) galleria di studenti e professori, finisce per coinvolgere tutti, ogni spettatore ritrova qualcosa di sé in questo o quel personaggio. Tutto rischia di fermarsi all’immedesimazione, la serie non indaga a fondo le ragioni di un malessere, ha la capacità di analisi di una foto polaroid, una istantanea scattata di fretta sulla realtà della scuola di oggi. Ma il suo, va detto, lo fa egregiamente. Le viene chiesto di rendere più lieve una serata tv, e in questo riesce benissimo. Così facendo, senza proclami, riesce però anche a riportare dentro le case di milioni di italiani il problema della scuola (quel disagio degli studenti e la speculare frustrazione dei professori) sul quale tutti siamo chiamati a interrogarci. Per non mostrarci ipocritamente sorpresi di fronte al prossimo fattaccio di cronaca.