Libri, libri, pio pio…

Entro in metropolitana e mi scende notte, come si dice a Roma. Alla mia destra una ragazza sta leggendo Il Codice da Vinci (cfr. Città nuova n. 1/2005), a sinistra un’altra legge l’ultimo giallo di Faletti, rispettivamente milioni e centinaia di migliaia di copie. D’altra parte, si sa, le librerie si supermercatizzano o rischiano di chiudere, e se tu vuoi cose diverse dai bestseller formato internazionale o casareccio, se vuoi cioè libri veri, oltre ai classici del passato, devi cercare di fabbricarteli da solo, formato samizdat o messaggio privato. Perché questa è precisamente la situazione dell’industria letteraria (lasciamo perdere la parola cultura, per carità): che gli editori – tranne pochi, quasi tutti piccoli disperati alla macchia – vendono parallelepipedi di carta come venderebbero scarpe o tartufi, suonando le grancasse pubblicitarie massmediali, cioè fanno pio pio…, e gli abitanti del pollaio tecnologico a frotte accorrono, con la stessa necessitata, per non dire coatta, urgenza con cui poi, sul far della sera, assumono dosi industriali, come le oche del fois gras, di emissioni televisive impudentemente denominate reality show o serial (killer, dovrebbero aggiungere). E questa situazione vergognosa si determina per una gara al ribasso tra letteratura e pubblico, televisione e pubblico, scuola e studenti, sfera della comunicazione e, diciamo così, utenza privata. La residua stupefazione viene dal fatto che se ne discute ancora, come se non fosse vero che gli uni hanno tirato giù gli altri e viceversa, con un allineamento in basso sempre rivedibile al ribasso: Noi facciamo quello che vuole il pubblico; Il pubblico vuole che noi facciamo questo. È stata Eva. È stato il serpente. Non sono stato io. Nel XX secolo, da cui come naufraghi emergiamo attaccati a relitti molto precari, a svuotare la cultura, e dunque anche la letteratura, ci hanno pensato, con effetto combinato, le ideologie, il cattivo giornalismo, la nuova comunicazione massmediale: le ideologie strozzandola, il cattivo giornalismo banalizzandola, i mass media polverizzandola. E come il ragazzo ignorante oggi dà del tu al coetaneo e al vecchio, così il grande e il piccolo, il gioiello raro e la patacca culturale si uniformano nelle coscienze incolte, incapaci di paragonare, distinguere, elaborare. In tale notte più che barbarica un disc-jockey è arrivato a dire che le Confessioni di sant’Agostino sono un’opera banale. Di fronte a simili dismisure insopportabili (i trogloditi avevano una cultura!) resta solo la via del ricominciare. Sono sicuro che ci sono molte migliaia di persone di tutte le età, che hanno tanta disponibilità intellettuale quanta intolleranza verso il cattivo gusto e la mediocrità gregaria, la servitù consumistica. Che sono disposte anche alla più feroce solitudine pur di non cedere alla melassa omertosa dell’ignoranza di moda, al così fan tutti del pollaio, e quindi, tanto più, capaci di riunirsi in piccoli gruppi, da due o tre in poi, diciamo, alla russa (dai salotti letterari russi vennero fuori talora grandi scrittori e sempre ottimi lettori), e lì risillabare, ricompitare l’abc del necessario per sopravvivere spiritualmente, per rifondare una cultura non di carriera o d’immagine, una letteratura non di morta degustazione o digestione metropolitana. Ci vuole coraggio e un’ostinazione illimitata. Ci vuole soprattutto di non credere – fermamente – che esiste solo ciò che passa in tv e/o sulle pagine dei giornali, ci vuole un leggendario (per sé stessi, non occorre che sia riconosciuto da altri) senso dell’ironia, e dell’autoironia, a scanso dei fragorosi miti ma anche delle tentazioni narcisistiche di snobistica minoranza- opposizione. Come e più del jogging, una pratica clandestina, non omologata, della cultura e in particolare della letteratura, ben attenta, come certe tribù a non farsi inquinare da contatti contaminanti con la civiltà, non può fare che bene, purgare, purificare da pessime abitudini anche involontariamente contratte, ri-orientare ad una fondamentale gratitudine per la vita, a quell’occhio puro che sa poi ispirare pensieri e parole non adulterati.

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